Il Guatemala in guerra contro i narcos
Il primo atto dopo l’insediamento da Presidente della Repubblica è stato quello di dichiarare guerra ai narcotrafficanti. L’ex generale, puntuale allo slogan elettorale, ha conferito poteri speciali alle forze armate per debellare crimine organizzato e violenza. Due tra le principali minacce che la repubblica centroamericana sta affrontando da tempo. Già lo scorso dicembre, l’ex presidente Alvaro Colom ha dato mano libera ai generali per riprendere il controllo della regione settentrionale di Alta Verapaz, di fatto sotto il controllo dei Los Zetas.
I narcotrafficanti messicani, ex militari delle forze speciali passati armi e bagagli al traffico di cocaina, hanno fatto del Guatemala un avamposto prezioso per il transito della “blanca” dalla Colombia al Messico. Le disposizioni di Molina al punto sono state nette. L’ordine è quello di neutralizzare le organizzazioni criminali operanti in Guatemala. Non solo nella regione di Alta Verapaz, dove la situazione resta difficile, ma in tutto il paese. Le forze armate avranno il compito di sostenere gli sforzi della polizia, o di sostituirsi ad essa laddove questa è fortemente collusa con il crimine organizzato. Un portavoce del governo, parlando con la Bbc, non fa mistero di questo tipo di problema. In Alta Verapaz, ha dichiarato: «La polizia è totalmente infiltrata dai los Zetas».
Una scelta, quella di Molina, che segue quelle del Messico e dell’Honduras, i due inquieti vicini che affrontano la comune minaccia dei narcos. Il presidente messicano Felipe Calderon ha lanciato la sua guerra contro i cartelli della droga nel 2006, mentre il governo honduregno ha aperto le ostilità lo scorso novembre. I risultati ottenuti, tuttavia, lasciano molto a desiderare. Il coinvolgimento dell’esercito per il ripristino dell’ordine interno ha per lo più causato un intensificarsi della violenza. Il Messico è stato, e continua ad essere attraversato da un fiume di sangue e le forze armate non hanno avuto meno responsabilità rispetto ai cartelli di narcotrafficanti. Nel caso guatemalteco, il coinvolgimento diretto dell’esercito avviene in una situazione già fortemente instabile. Il tasso di omicidi per abitanti nello stato centroamericano è di gran lunga superiore rispetto al vicino messicano.
Guatemala, Honduras e El Salvador sono considerati il “triangolo della morte”, la regione del mondo più pericolosa in un contesto di pace. Violenza che dipende dalla forte presenza delle organizzazioni criminali, ma anche indirettamente dal transito e dallo spaccio di sostanze stupefacenti. Inoltre, un esercito fortemente coinvolto all’interno del paese rappresenta una minaccia concreta alla struttura democratica dello stato. Il Guatemala esce da decenni di dittature militari, e da una lunga guerra civile. Quella di Molina è stata la quarta elezione presidenziale democratica. Anche se le elezioni si sono svolte correttamente, il periodo pre-elettorale è stato segnato da violenza e incertezza. Nelle regioni del nord, quelle scelte come base di transito dai narcos messicani, sono stati registrati numerosi atti intimidatori nei confronti dei candidati dei vari gruppi politici. Inoltre, la mancanza di una vera e propria regolamentazione sui finanziamenti ai politici, rende possibile la collusione con ambienti criminali.
L’International crisis gruop, che ha monitorato il periodo pre-elettorale in Guatemala, ha scritto: «I finanziamenti politici non regolamentati – ha scritto in un dettagliato rapporto l’Icg lo scorso giugno – rappresentano una minaccia più sottile rispetto alla violenza, ma egualmente pericolosa per la vita politica». Questi “aiuti” economici, infatti: «Lasciano i politici in balia di oscuri interessi economici e criminali». Gli stessi che hanno, nel tempo, tratto vantaggio dell’instabilità istituzionale del paese, e che provano ad entrare nel grande business del narcotraffico. L’intervento delle forze armate, tuttavia, rischia di non risolvere la situazione, ma di aggravarla. Proprio come nel vicino Messico.
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