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Le mafie fanno affari con la crisi

Di Gaetano Liardo il . Progetti e iniziative

Le mafie sono ricche e non temono la crisi. Anzi, proprio dalle difficoltà economiche che attanagliano il nostro Paese i boss riescono a trarre grandi benefici. Queste alcune delle amare conclusioni emerse dalla conferenza stampa di presentazione del XIII rapporto di Sos Impresa. «La criminalità organizzata – dichiara il presidente di Sos Impresa Lino Busà – fattura 140 miliardi di eruo l’anno. Di questi ben 65 miliardi sono in forma liquida, proprio  in un momento in cui si registra un forte credit crunch». C’è mancanza di liquidità nel sistema economico-finanziario italiano, ma non per le mafie.

«I 65 miliardi di soldi liquidi delle mafie – aggiunge Busà – fanno gola a pezzi dell’imprenditoria, della finanza. In questo modo, tuttavia, cade il confine tra l’economia legale e quella illegale». Una tendenza registrata anche nei nuovi territori di mafia. Quelle realtà dell’Italia centro-settentrionale dove i boss hanno investito negli ultimi decenni, ripulendo i capitali frutti di traffici illeciti tramite svariate forme di riciclaggio. Le mafie nel centro-nord della Penisola opera differentemente. E’ “camaleonte”, si mimetizza per minimizzare i rischi e massimizzare i profitti. Ai boss non interessa tanto il controllo militare del territorio, anche se lentamente sta prendendo piede, quanto la tranquillità per fare affari. «Le mafie – sottolinea Busà – al centro come al nord fanno impresa, operando in condizioni di scarsa esposizione e bassa violenza».

Un ulteriore elemento di allarme è quello dell’usura, dove si registra negli ultimi anni una presenza sempre maggiore delle organizzazioni criminali. Basti pensare ai clan camorristici nella zona di Napoli, o alle ‘ndrine in provincia di Reggio Calabria. «Esistono delle vere e proprie banche della camorra – aggiunge Busà – che prestano soldi a tassi anche inferiori rispetto a quelli delle banche». Usura e racket continuano ad essere fonti di problemi per commercianti e imprenditori. Molte le testimonianze in sala che segnalano la debolezza e la difficoltà delle istituzioni nel proteggere chi sceglie di denunciare. Chi lo fa, infatti, rischia spesso di perdere la propria attività, viene emarginato, estromesso dal contesto economico in cui ha sempre lavorato. «Serve – puntualizza il presidente di Sos Impresa – una maggiore attenzione nei confronti delle vittime. Occorre aiutarne l’inserimento sociale. Servono delle corsie preferenziali per, ad esempio, l’aggiudicazione degli appalti, per non indebolire il soggetto che denuncia. Per quel che riguarda l’usura – aggiunge – i tempi di erogazione dei fondi per le vittime sono troppo lunghi. Occorre un aiuto più rapido per garantire loro un reinserimento nell’attività economica».

Una situazione preoccupante, che evidenzia i limiti ormai raggiunti dalla legge antiusura. La 108 del 1996 non è stata mai aggiornata, è uno strumento valido che necessità miglioramenti. Basti guardare i dati relativi al crollo delle denunce, ogni anno sempre minori. «Solo una vittima su mille denuncia – attacca subito Lorenzo Diana, coordinatore della Rete della Legalità – si deve rimettere mano al codice antimafia, raccogliendo le proposte provenienti dal fronte antimafia». Una modifica, quindi, della legge 108 e della legislazione antiracket per: «Trasformare la denuncia in un atto di convenienza».

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