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Alle radici di un impegno comune contro le mafie

Di Don Tonino Palmese* il . Campania

Hanno arrestato un camorrista o un mafioso? Forse entrambi. Michele Zagaria è soprattutto un imprenditore che attraverso la collusione con i poteri forti (politica ed impresa), l’arruolamento di criminali e la paura della gente, ha controllato finanza e territorio. Alla luce di questa estrema sintesi della vicenda criminale del capo dei casalesi, mi preme riflettere su alcune realtà (o dimensioni) che ritengo determinanti per la rinascita, anzi la resurrezione delle nostre terre diventate sepolcri a cielo aperto, dove la vita della gente e la natura assistono inermi e indifferenti alla propria morte. Spesso, ricordo un’espressione cara alla cultura ebraica presente nel libro dei Chassidim: “Il vero esilio per gli ebrei si ebbe quando essi cominciarono a sopportarlo”. 

La sopportazione, scaduta in indifferenza, produce persino nostalgia delle gesta malsane e opprimenti del faraone. Non a caso un’ostentata ribellione verso le forze dell’ordine da parte di alcuni cittadini di Casapesenna (e non solo) la si può ricondurre alla manifesta garanzia di appartenenza e allo stesso tempo alla paura di perdere i cosiddetti equilibri creati dalla presenza del capo della mafia-camorra del territorio.  Pertanto, l’indifferenza e la nostalgia verso il “faraone” devono necessariamente mettere in discussione e suscitare una continua vigilanza e conversione da parte della politica, della cultura e perché no, della stessa Chiesa.  Quando si pensa al ruolo della politica, nei territori dove c’è lo strapotere delle mafie, è necessario che alla politica si chieda come presupposto etico la capacità di escludere dalle proprie liste e tessere, persone che addirittura possano ricoprire  ruoli di governo e di amministrazione, in quanto sospettati e peggio ancora giudicati dalla magistratura come persone colluse con la criminalità organizzata. La politica, quando imbarca il voto dei criminali, si rende complice del malcostume e consente la nascita di quel sentimento dell’antipolitica che raramente costruisce percorsi alternativi al malaffare, anzi, in genere scade nella frustrazione, nel qualunquismo e nella rassegnazione di vivere o sopravvivere da sudditi in cerca del consenso. Ecco, il consenso estorto con la violenza o con la seduzione del favoritismo, diventa l’elemento comune tra politica e criminalità. Strappare il consenso per gestire la vita e la dignità delle persone.

Nella memoria dei nostri territori, la politica ha utilizzato il favore in alternativa al diritto e ha deprivato il dovere e l’impegno della sua forza utile per lo sviluppo civile  e democratico del Paese.  Una seconda riflessione, va fatta rispetto al ruolo della cultura. Ogni volta che mi confronto, soprattutto con i giovani, mi accorgo di quanto il messaggio mafioso passi velocemente nella mente e nella coscienza della gente. Le mafie, forse non hanno direttamente la proprietà di giornali o televisioni, ma la loro (sub) cultura è presente (quasi) dappertutto. Mi riferisco a quei modelli che sono comodi all’agire e all’economia delle mafie. Potrei fare un lungo elenco, anche se alcuni aspetti vanno ricordati. Penso all’apparire, al vincere e arricchirsi sempre più in modo individuale. Penso alla furbizia di chi chiede il favore scavalcando gli altri (deboli come lui). Penso alla doppia morale, penso a forme di comunicazione che scelgono la semplificazione in alternativa all’approfondimento e alla dialettica, confondendo così le idee. Penso alla logica “capitalistica” delle mafie e della cultura mafiosa, nel voler dividere in parti uguali tra diseguali.

Diceva don Lorenzo Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”.  Nei territori che permettono la latitanza dei mafiosi (e non solo) si dovrebbe procedere con una comune strategia: soldati e maestri. Quando ci si limita solo alla presenza delle forze dell’ordine la battaglia è quasi persa. È necessario educare, educare ed educare. La forza e la bellezza del sapere con gli altri e per gli altri sviluppa coscienza e impegno.  Una terza ed ultima considerazione è riconducibile al dopo. Cosa fare alla luce di questo arresto? A  partire da questa importante notizia cosa cambia? Cosa si dovrà  fare? Alcuni giorni fa assieme al coordinamento campano dei familiari delle vittime ed espressioni delle istituzioni abbiamo scoperto nei pressi della grande piazza del Plebiscito, la stele della memoria delle vittime della criminalità. In quell’occasione il procuratore aggiunto antimafia, Federico Cafiero De Raho, nel commentare l’arresto da lui realizzato assieme alle forze dell’ordine di Zagaria, ci diceva che fuori quella porta blindata si è sentito forte perché con lui non c’erano solo le forze dell’ordine, ma tutta quella società che ogni giorno, in maniera diretta o non, è impegnata a dare alla comunità civile il proprio contributo in termini di impegno, di onestà e di partecipazione. Sapeva, infatti, di essere giunto lì grazie alla fatica di tutti coloro che stanno dalla parte della giustizia e del bene comune e non solo la guerra tra “guardie e ladri”  Allora, la riflessione ci deve portare proprio a questa immagine. Per giungere alla sconfitta delle mafie, fuori quelle porte che ospitano i malavitosi ci possiamo e ci dobbiamo essere tutti. Ciascuno, con il suo peculiare impegno e ruolo, ma solo tutti uniti. Forse (e senza forse), la fatica più grande che si sperimenta in questo periodo (dopo quella dello scontro con le mafie) è quella di coordinare (rispettando l’unicità di ogni organizzazione) tutte le realtà che sentono il bisogno e il dovere di diffondere con la propria vita un impegno sociale e culturale che smantella ogni tentativo mafioso di convincere la gente che è meglio soccombere che restare liberi. Se la politica è ricorsa ai tecnici per fare ciò che avrebbe dovuto fare, cioè governare, non credo che l’associazionismo debba ricorrere alla politica, nel senso di commissariamento per poter governare i processi di impegno a favore della giustizia.

Lo dico, sapendo che è assurdo, perciò urge una rinnovata stagione dove il protagonismo di ciascuno, sia l’espressione di tutti. Recuperiamo dunque, attraverso la memoria delle origini di ciascuna realtà i motivi dell’impegno, quella genuinità che ha caratterizzato gli inizi di tutti noi. Sembra vero che è più difficile condividere la gioia anziché il dolore. La condivisione della gioia altrui e quella propria con gli altri chiede una grande libertà interiore e soprattutto la certezza di non avere alcun interesse economico e di potere. Essere alternativi alle comunità mafiose, vuol dire mettersi insieme non per omologare o peggio ancora prevaricare, ma semplicemente per accompagnare le persone ad essere libere, perciò se stesse. In ambito educativo, afferma il filoso dell’educazione Olivier Reboul che il fine dell’educazione è il seguente: tutto ciò che libera. Tutto ciò che unisce. Le mafie invece, costruiscono rete giusto per il contrario: tutto ciò che determina sudditanza e che separa. Sono queste le coordinate per camminare insieme ed eventualmente fare un passo indietro quando ciò non si realizza. 

* referente di Libera per la Campania

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