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Cancellieri: a Milano non c’è omertà

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

Ci risiamo. Ancora una volta, sul versante della lotta alle mafie, a tenere banco è il balletto delle dichiarazioni e tra gli stracci che volano diventa difficile cogliere ragioni e motivazioni, al netto delle prese di posizione utili soltanto a testimoniare la propria presenza nell’agone politico, ad accreditarsi come “antimafioso doc” agli occhi di una pubblica opinione sempre troppo distratta. Il fatto è  ormai noto; lunedì mattina il neo ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri si trova a Milano e le sue dichiarazioni scatenano il putiferio.

A Milano apre l’Agenzia per i beni confiscati

L’occasione è l’inaugurazione della filiale lombarda dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie. Dopo Reggio Calabria, Roma e Palermo, tocca anche a Milano. La ragione della nuova sede è tutta nei numeri presentati dal direttore nazionale dell’Agenzia, il prefetto Giuseppe Caruso: un valore totale di 43 milioni di euro per i beni confiscati fino ad oggi nella regione e un importo pari ad oltre 800 milioni per i beni sequestrati solo nell’ultimo biennio. Le classifiche attuali vedono la Lombardia al quinto posto per gli immobili confiscati e al terzo posto per le aziende. Posizioni che sono ovviamente destinate a mutare prossimamente, se solo una quota parte dei beni sequestrati negli ultimi due anni dovesse andare a confisca definitiva e se le inchieste in corso della magistratura milanese dovessero approdare a nuovi risultati nel contrasto ai patrimoni delle cosche. Una prevedibile salita in questa classifica, quindi, da non salutare però con lo stesso orgoglio che si prova per la squadra del cuore che scala le posizioni in campionato…

Rilevante poi la scelta della sede: un bene confiscato in via Moscova, in centro a Milano, e riconducibile alla ragnatela di società e corruttele che facevano capo al defunto Giuseppe Grossi, l’imprenditore delle bonifiche coinvolto nello scandalo di Santa Giulia, il quartiere per il quale era stato disposto un imponente risanamento ambientale poi finito nel mirino della magistratura.

Cultura e affari

Fin qui tutto bene, il problema arriva con la conferenza stampa che chiude la giornata. Eh sì, perché i giornalisti non si fanno perdere la succulenta occasione di avere il ministro a portata di microfono, per capire se l’attuale titolare del Viminale condivida o meno le tesi negazioniste sulla presenza delle mafie in città, espresse in un passato recente dall’ex sindaco Letizia Moratti e dall’attuale prefetto Gian Valerio Lombardi.

Questa la replica della Cancellieri ai giornalisti, come è stata diffusa dalle agenzie di stampa: «La domanda va posta nei termini giusti: se intendiamo come mafia la cultura mafiosa o lo sfruttamento del territorio per lo sviluppo del capitale. Come cultura omertosa a Milano non c’è la mafia».

Secondo la Cancellieri non c’è la mafia, perché ci sono gli anticorpi attivi: «I cittadini milanesi sono assolutamente consapevoli del loro diritto di cittadini e non soggiacciono alle prevaricazioni e denunciano, c’è una forte capacità di reazione. Sotto il profilo dell’omertà e della diffusione del controllo minuzioso del territorio, a Milano non c’è».

Altro discorso, secondo il ministro, è quello che concerne il riciclaggio dei proventi illeciti, perché la Lombardia, al pari di altre regioni del nord e degli altri paesi europei sono “territori meravigliosi, appetibili” per le cosche criminali.  

E la colonizzazione?

Un’apparente distinzione tra cultura e capitale che taglierebbe fuori ogni ragionamento sull’avvenuta colonizzazione della regione da parte delle cosche. Dichiarazioni forse fuori contesto che – si spera – possano essere state dettate da una lettura ormai superata dai fatti, dai processi, dalle stesse documentazioni prodotte costantemente dalla Direzione Nazionale Antimafia e dagli organi investigativi. Usura, estorsione, traffico di droga, appalti pubblici, tratta degli esseri umani e traffico di armi: tutte attività che presuppongono un controllo del territorio, che si esplica anche nell’intimidazione e nell’assoggettamento. Episodi di piccole e grandi omertà che interessano la vita quotidiana e che, a volte, arrivano anche nelle aule di tribunale.

Sarebbe stato meglio non soffermarsi troppo sulle parole del ministro e cercare di andare al cuore del problema, cioè la presenza delle mafie sul territorio? Forse sì, ma è solo un’opinione. Sta di fatto che le sue parole hanno scatenato l’antimafia parolaia fatta di dichiarazioni e controdichiarazioni che hanno infiammato in queste ultime ore la politica milanese e lombarda. Seppure molto attenti a non rompere l’apparente clima di pax politica che vede alla guida del Paese un governo di tecnici in questo momento di recessione economica, commentatori e politici si sono divisi aspramente tra quanti hanno inteso sottolineare l’equilibrio della Cancellieri e quanti hanno preferito gridare allo scandalo per quello che è stato definito l’ennesimo contributo alle tesi negazioniste. Insomma, è stata una corsa per arruolare tra le propria fila il neoministro, a costo anche di sfiorare il ridicolo. Su internet e sui social network sono apparsi commenti autorevoli ma anche battute sapide e irriverenti.

Ancora una volta la lotta alle mafie è stato oggetto di divisioni, prestandosi al gioco delle opposte tifoserie che si schierano su questo tema, così come si fa oggi nella realtà virtuale, perché quello che passa il convento è il gossip su tutto e su tutti.

Il boomerang

Cercando però di riposizionare la discussione nel giusto alveo, proviamo a capire come anche questa volta l’antimafia delle dichiarazioni prêt-à-porter corri il rischio di essere un boomerang. Intanto, non andrebbe dimenticato che il ministro non era a Milano per inaugurare una biblioteca – gesto per altro apprezzabile ed importante, anche in ottica antimafia – ma bensì la filiale lombarda dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie. Lo stesso ministro ci è parso consapevole della densità della presenza mafiosa in regione e in città, al punto di arrivare a parlare di “rito significativo”: l’utilizzo del termine “rito” non è casuale perché nella lotta alle mafie i riti, i simboli sono discriminanti e utili e, quindi, l’inaugurazione della filiale è un segnale importante, forte e decisivo, ben al di là delle parole che sono state impiegate per vararne l’avvio.

Secondariamente, la distinzione operata tra cultura omertosa e presenza economica, su cui si sono appuntate molte critiche, è subito stemperata da una contestuale dichiarazione della Cancellieri, resa sempre in conferenza stampa, seppure sotto la pressione dei giornalisti. Quel suo invito a “reagire, reagire, reagire” – oltre a richiamare alla memoria il “resistere, resistere, resistere” pronunciato da Francesco Saverio Borrelli in altra occasione ma con lo stesso intento di scuotere le coscienze – per convincere gli imprenditori oppressi dal racket a collaborare con la magistratura sembra andare proprio nella stessa direzione che auspica il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, quando chiede al mondo imprenditoriale di schierarsi dalla parte dello Stato, denunciando gli estorsori e i mafiosi. Quello che conta è il risultato – la collaborazione con lo Stato – e per avere maggiore consapevolezza del problema delle mafie al nord al ministro diamo ancora qualche settimana di tempo.

Fatti, non parole

E allora, anziché  stare a spaccare il capello in quattro, forse è più utile fare attenzione alla coerenz
a tra dichiarazioni e comportamenti, che per quanto riguarda il ministro Cancellieri abbiamo cercato di spiegare come, almeno per il momento, ancora non si ponga, nonostante l’uscita poco felice. Un esempio? Ci piacerebbe sapere che fine hanno fatto le leggi regionali per la promozione dell’educazione alla legalità promulgate in pompa magna dalla Regione Lombardia tra febbraio e maggio e ad oggi ancora inutilizzate. Eppure a proposito di dichiarazioni, proprio ieri il presidente della Regione Roberto Formigoni ha lanciato un ulteriore proclama, proprio a margine dell’incontro in Prefettura e proprio richiamando le leggi in questioni: «Le istituzioni hanno piena consapevolezza della sfida che la criminalità organizzata porta al territorio e ai cittadini e sono sempre più determinati a usare tutti gli strumenti per le azioni di contrasto». Non ci risulta che nessuno abbia dichiarato qualcosa in merito per smentire il governatore.

E ancora. Ci piacerebbe sapere per quali motivi il Consiglio Comunale di Milano non ha ancora costituito la Commissione consiliare che, unitamente al Comitato di esperti voluto dal sindaco Pisapia e guidato da Nando dalla Chiesa, avrebbe dovuto essere il segno della rottura con il passato negazionista delle precedenti amministrazioni comunali.

Il Comitato ha iniziato il suo lavoro, ma essendo un lavoro di analisi e approfondimento, difficilmente avrà eco esterna, come il suo presidente dalla Chiesa ha dichiarato proprio in queste ore sul suo blog internet: «Il fatto che non si sappia, oggi, che cosa il comitato farà è una garanzia della sua serietà. Molto meglio, tra un certo periodo di tempo, sapere che cosa ha fatto».

Ci chiediamo cosa freni allora le scelte della maggioranza in Consiglio Comunale nel procedere alla nomina della Commissione, il cui presidente in pectore, David Gentili del PD, è stato al centro di uno scontro – verbale anche questo, ça va sans dire – con il collega in consiglio Armando Vagliati, il cui nome è finito nelle carte della recente inchiesta sul clan Lampada/Valle.

E, da ultimo, proprio per misurare la coerenza tra dichiarazioni e fatti, ci piacerebbe poter leggere quanto prima di un nuovo incontro in prefettura, dove all’ordine del giorno vi sia la questione dello sgombero dell’immobile di via Montello 6, in pieno centro Milano. Da oltre un ventennio, la famiglia Cosco di Petilia Policastro e altri occupano abusivamente i locali di proprietà dell’ospedale Maggiore, trasformando l’area in un luogo dedito allo spaccio e al traffico di stupefacenti. Oggi i Cosco sono sotto processo per l’omicidio della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo, sciolta nell’acido alle porte di Monza.

I termini di custodia cautelare scadranno a luglio e nel frattempo il processo di primo grado continua la sua corsa contro il tempo. Non è un processo di mafia, così ci viene spiegato, ma sicuramente i fatti in esso ricostruiti qualche problema dovrebbero porlo. Soprattutto nel cercare di trovare quanto prima una soluzione in termini di legalità ad un’occupazione abusiva di un immobile pubblico da parte di una associazione, quanto meno, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, in attesa che le altre accuse vengano provate.

Ecco se la politica facesse più fatti e meno dichiarazioni, potremmo contare su quello scatto in avanti di cui necessitano la città e la regione per affrontare le mafie. 

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