‘Ndrangheta a Milano
Da alcuni mesi i due principali quotidiani on line, Repubblica. it e Corriere.it, nei primi cinque posti nella classifica dei siti più letti in Italia, hanno aperto all’inchiesta sul web. Repubblica, insieme alla redazione de “L’Espresso” ha dato vita ad un nuovo portale http://inchieste. repubblica.it/, dal quale sceglie, giorno dopo giorno, alcune inchieste da riproporre sulla home page del giornale on line. Nella corsa e rincorsa fra le due testate per il mercato pubblicitario on line e per il primato dei lettori, anche il quotidiano di via Solferino, ha scelto di scommettere sull’inchiesta. L’ha fatto ospitando nella sua colonna centrale, le anticipazioni o le video inchieste del team guidato da Milena Gabanelli.
Una mossa che non investe su una nuova redazione ma ottimizza e offre al pubblico di internet, una squadra da combattimento di primo livello, quale quella di “Report” su Raitre. Nelle ultime settimane, la testata diretta da Ferruccio De Bortoli, sceglie di ospitare anche inchieste monotematiche a puntate. La prima è quella realizzata da Ruben H. Oliva, storico giornalista d’inchiesta, sulla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia. Molti gli speciali e i libri che in questi ultimi mesi raccontano di questa “occupazione” del territorio che dura da decenni ma che ha raggiunto negli anni dimensioni catastrofiche. Milano, in particolare, sottolinea l’inchiesta di Oliva è la capitale delle ‘ndrine. Qui si muovono con disinvoltura, occupano già interi isolati, gestiscono attività economiche e finanziarie. La web inchiesta del giornalista che conosce bene il fenomeno della ‘ndrangheta, questa settimana, racconta la storia di Lea Garofalo, vittima della ‘ndrangheta.
Con un stile quasi distratto, di passaggio, volutamente simile a quello del citizen journalism, Ruben H. Oliva coglie gli aspetti più nascosti di questa mafia al Nord. Lo fa attraverso le testimonianze di Ilaria Ramoni, avvocato e referente di Libera per Milano e del Gip della procura del capoluogo lombardo, Giuseppe Gennari. Mentre i mass media occupano le loro ore di programmazione a scoprire i responsabili del delitto di Garlasco, contestano la sentenza di Perugia sulla morte di Meredith e continuano a chiedersi in che direzione stiano andando le ricerche per l’assassinio di Yara Gambirasio, a due passi dal Duomo di Milano una testimone di giustizia, Lea Garofalo, nella notte fra il 24 e il 25 novembre del 2009 è stata rapita, uccisa e sciolta nell’acido e in pochi si chiedono perché. In pochi raccontano la sua storia, con la stessa attenzione che muove invece gli spazi di infotainment, verso altri delitti irrisolti. Eppure da raccontare c’è davvero molto. Lo ha dimostrato “Servizio Pubblico” che nell’ultimo appuntamento con il pubblico della rete e del circuito delle tv locali, ha intervistato la sorella di Lea, Marisa, per raccontare del processo in corso, del rischio di scarcerazione degli imputati e delle difficoltà che ancora oggi vivono i parenti di Lea ( fra tutti, la figlia Denise) uccisa per essersi ribellata alla ‘ndrangheta. Anche Ruben H. Oliva torna sul caso Garofalo.
«I testimoni di giustizia – racconta Ilaria Ramoni avvocato di Libera – ci dicono che non sono tranquilli a Milano, ci sono troppi appartenenti alla ‘ndrangheta». Perché qui le ‘ndrine hanno legami ovunque: molti “covi freddi” pronti ad entrare in azione, una solida alleanza con gli esponenti di altre organizzazioni criminali. Come quello del “Fortino di via Montello” a Milano. Il gip Giuseppe Gennari – conferma: «Il fortino in città è una vergogna per la città». Presidio di calabresi della ‘ndrangheta, luogo di spaccio e di affari. «Per quello che noi abbiamo ritenuto potere sostenere in una misura cautelare – conferma il Gip – da lì hanno un controllo capillare dello stabile ». Riscuotono affitti, trafficano droga, membri di famiglia Cosco lo abitano ma anche o cinesi che pagano a loro volta gli affitti, dagli anni ‘90. «In questi anni – conclude la Ramoni – sono stati cosi penetranti non solo con la cocaina ma anche nei subappalti, subcontratti movimento terra e cemento per la costruzione della metropolitana cinque di Milano».
Il web racconta di questa donna, lasciata sola a combattere con la ‘ndrangheta. Delle tante donne, dalla figlia Denise, alla sorella Marisa passando alle avvocatessa Enza Rando e Ilaria Ramoni, alla giornalista di Narcomafie, Marika Demaria, che si stanno occupando del caso. Ma la tv generalista tace. I programmi di approfondimento non seguono questo processo, non accendono ancora abbastanza le luci su questa vicenda, emblematica di una “colonizzazione” delle mafie al Nord.
Trackback dal tuo sito.