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Storie di vite

Di Antonio Mura il . Progetti e iniziative

“In vino Libertas”. “In vino Dignitas”. Non potrebbe che essere questa la parafrasi migliore per rappresentare “Ásylon”, il vino dei rifugiati. Nato da un’idea del 2001 nell’Istituto Superiore “Ciuffelli-Einaudi” di Todi, la più antica scuola agraria d’Italia situata nel cuore dell’Umbria, in collaborazione con la Caritas, Libera e il patrocinio dell’UNHCR, il progetto consente di portare avanti corsi di formazione professionale e di studio a soggetti richiedenti asilo politico e rifugiati, in regime di convitto e per tutta la durata del corso. Presieduta dalla portavoce dell’Alto Commissariato ONU, Laura Boldrini, alla conferenza, nella grigia e piovosa mattinata odierna nascosta tra gl’irti palazzi del centro di Roma, sono intervenuti Marcello Rinaldi, delegato regionale della Caritas umbra, Gilberto Santucci, Direttore dell’Azienda Agraria ITAS dell’Istituto e don Luigi Ciotti, ovviamente in rappresentanza di Libera.

Nel trascorrere dell’evento “storie di viti” e “storie di vite” si sono intrecciate tra loro e, come don Ciotti stesso ha esposto, dalla loro unione sgorga da 10 anni “Ásylon”, il vino «il cui nome» fa notare il fondatore di Libera, «in greco è vênas, “amabile”, da cui deriva anche il nome Venere». E in questo caso di amore si tratta, quello tra uomini, che si traduce o dovrebbe tradursi, in rispetto, in riconoscimento dell’altro, del diverso, dello straniero quando si parla di rifugiati e richiedenti asilo, africani nello specifico di Todi. Nel riconoscimento soprattutto della dignità e della libertà, delle storie degli “altri” in sostanza. E il progetto umbro proprio a questo, in finale aspira, cercando di sposare, come il vino fa con il cibo, le storie di ogni individuo, passando dal conflitto all’integrazione. Don Ciotti sospinto dalla passione del suo intervento va oltre: «Dovremmo cercare di potare quella “g” da “integrazione” per arrivare sia nella forma che nella sostanza a “interazione”».

Il suggello alla mattinata è stato posto da un rappresentante degli “altri”, uno dei tanti richiedenti asilo che nella cittadina umbra ha avuto la fortuna di arrivare. È contento  di stare a Todi, che definisce speciale: «Ci troviamo bene» dice John (lo chiameremo così) «ma prima di arrivare in quest’isola felice abbiamo patito molte angustie. La prima è stata la partenza dalla nostra casa, nella quale speriamo sempre di tornare. La seconda è stata la traversata: quella naturale del deserto, dove tanti non ce l’hanno fatta, poi, e ancor di più forse, quella umana, in Libia con la guerra che si annunciava imminente e di cui abbiamo conosciuto le due facce. Una meno cattiva, prima degli scontri, in cui si viveva in una condizione difficile e di ostilità latente coi libici ma in fondo, non facendoci troppo caso si sopravviveva. L’altra allo scoppio del conflitto: a quel punto l’avversità contro gli stranieri, africani nigeriani in questo caso, si è manifestata brutalmente. Siamo stati picchiati, derubati, umiliati. Quelli che come me sono sopravvissuti ai traumi della partenza, del viaggio e delle peripezie, hanno raccolto stracci e sogni e sono fuggiti più a nord, arrivando chi in Germania, chi in Italia, chi altrove. Da qui vorremmo ricominciare e, un giorno, tornare nella nostra terra». Qualcuno, come John, è arrivato a Todi. E assieme alla vite continua a coltivare una speranza.

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