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Le Nazioni Unite mettono la società civile alla porta

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Il vento del cambiamento spira ovunque ma non alle Nazioni Unite. Il clima all’Onu, nonostante le proteste in Nordafrica, Europa, Stati Uniti, America Latina resta asettico, fermo, asciutto. Così, ad esempio, la Conferenza delle Nazioni Unite contro la corruzione svoltasi a Marrakesh, ha deciso di fare a meno della spinta propulsiva della società civile. Le delegazioni dei 154 paesi che hanno firmato la Convenzione Onu contro la corruzione, hanno deciso di marginalizzare le società dei loro paesi. Associazioni e gruppi economici e sociali non avranno alcun ruolo decisivo nel monitorare gli adempimenti dei governi previsti dalla Convenzione. «La società civile ha uno status di invitato senza potere consultivo», commenta Monica Massari, docente universitaria, collaboratrice di Libera International, che ha partecipato ai lavori di Marrakesh. 
«Questo – aggiunge – nonostante proprio nel testo della convenzione sia prevista esplicitamente la presenza della società come attore non secondario». Una decisione che ha fatto scattare la protesta delle associazioni. La Uncac Coalition, che raggruppa 310 associazioni di 60 diversi paesi non usa mezzi termini: «I governi hanno raggiunto un misero compromesso che restringe drammaticamente l’accesso delle organizzazioni della società civile. Piuttosto che poter contare sul riconoscimento di un pieno status come osservatori, esse avranno accesso unicamente ai cosiddetti briefings sui lavori condotti dal gruppo di revisione». Un passo indietro che non coglie i cambiamenti in corso a livello globale, dove la mobilitazione della società civile ha portato dei risultati importanti nei confronti di regimi autocratici e corrotti. 
«La conferenza – sottolinea Monica Massari – avrebbe dovuto segnare un momento di chiarezza perchè prevede un meccanismo – l’Implementation review group – di verifica e monitoraggio dell’implementazione della Convenzione da parte degli Stati membri – un monitoraggio che è opportuno se è presente la società civile, ma ciò è stato impedito». Nel 2009 gli Stati firmatari della Convenzione Onu hanno adottato un documento che regola il meccanismo di esame e verifica. Il testo prevede che il monitoraggio sia: «Trasparente, efficiente, inclusivo e imparziale». Inoltre che: «lo Stato membro sotto esame deve sforzarsi a preparare le sue risposte alla lista di autovalutazione attraverso ampie consultazioni a livello nazionale con tutte le parti interessate, inclusi il settore privato, gruppi e soggetti al di fuori del settore pubblico». Una autovalutazione fatta soltanto dal governo sotto esame è, sicuramente, inattendibile. Basti citare l’esempio dell’Italia alla conferenza di Marrakesh, presente con una delegazione guidata dal (ex?) ministro della Giustizia Nitto Palma. Palma, infatti, ha elencato i successi dell’esecutivo nel contrastare la corruzione in Italia. Una valutazione del tutto discutibile, considerata l’impennata di arresti per corruzione degli ultimi due anni. Comportamenti, questi, che indeboliscono la portata, di certo storica, della Convenzione contro la corruzione. 
A valutare l’adesione, o meno, agli adempimenti previsti nel trattato non può essere il solo governo sotto esame. Serve assolutamente la presenza di altri attori come la società civile, la cui esclusione, denuncia Transarency international: «segna una battuta d’arresto per la lotta globale contro la corruzione che potrà avere un impatto, alla fine, anche sui cittadini di tutto il mondo». Ultima nota emersa a Marrakesh, la richiesta dei Paesi della Primavera araba di poter incamerare i beni illecitamente sottratti dai vecchi regimi corrotti. Si tratta di patrimoni enormi, da quelli di Gheddafi a quelli di Mubarak fino a quelli del rais tunisino Ben Ali. Beni sotto forma di azioni, titoli di stato, lingotti d’oro, oltre che proprietà mobili e immobili di lusso, che si trovano per lo più nei paesi occidentali. Transparency International calcola che nel 2011 Svizzera, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna hanno “congelato” beni agli ex rais arabi per il valore di 50 miliardi di dollari. 
Un calcolo sicuramente riduttivo. Torneranno questi patrimoni nella disponibilità dei paesi depredati dai loro vecchi dittatori? 
 

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