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L’azzardo di Stato

Di Rocco Artifoni il . L'analisi

Non ci sono più soldi, dicono sempre più spesso gli esponenti del Governo. In realtà i soldi non c’erano nemmeno in precedenza, perché quelli disponibili avevano etichette con scritto “presi a prestito” o “debito da rimborsare”. Certamente negli ultimi anni la situazione finanziaria dello Stato italiano è peggiorata e il Governo per cercare di raccogliere un po’ di liquidità – nelle recenti manovre economiche – ha anche autorizzato nuovi giochi d’azzardo. Risultato: l’Italia assomiglia sempre di più ad una enorme bisca legalizzata. Negli ultimi dieci anni – tra lotterie, slot machine e scommesse di ogni genere – gli italiani si sono giocati oltre 400 miliardi di euro. Una cifra folle, che corrisponde ad oltre un 1/5 dell’attuale debito pubblico (1.900 miliardi) e che avrebbe coperto quasi totalmente l’aumento del debito negli ultimi 10 anni (505 miliardi). Detto in altre parole gli italiani da un lato ritengono che le tasse siano troppo alte (benché inferiori alla spesa pubblica e quindi insufficienti ad evitare l’aumento del debito) e dall’altro spendono volontariamente nei giochi d’azzardo i soldi che potrebbero azzerare il deficit pubblico. 

Nel  2010 il giro di soldi nei giochi legali in Italia è stato di 61,5 miliardi di euro, cioè ogni cittadino italiano – neonati compresi – ha speso mediamente 1.000 euro. Una famiglia di 4 persone nel 2010 ha “investito” in scommesse ben 4.000 euro. “Per spesa pro capite siamo già i primi al mondo”, segnala Fabio Felici, direttore dell’Agicos, agenzia specializzata nel settore. Nel 2011 è previsto un fatturato superiore ai 72,5 miliardi. Se ci aggiungiamo i soldi delle scommesse clandestine (un business stimato in circa 20 miliardi l’anno), arriviamo ad un giro d’affari non lontano dai 100 miliardi di euro, cioè superiore agli interessi che l’Italia paga ogni anno per il debito pubblico.  Non possiamo ignorare il fatto che dai giochi d’azzardo lo Stato ci guadagna, ma occorre rilevare che all’aumento del fatturato non corrispondono entrate adeguate. Infatti, la tassazione delle scommesse era di circa 1/4 del fatturato nel periodo 2003-2006 ed è scesa ad 1/6 nel 2007-2010. Questo perché i giochi di maggior successo , paradossalmente, sono i meno tassati. Inoltre, dai soldi incassati dallo Stato bisognerebbe togliere quelli che lo Stato spende per aiutare, sostenere e mantenere le persone e le famiglie che sono andate in rovina anche a causa della mania del gioco che lo Stato permette, sostiene e addirittura promuove, con tanto di spot pubblicitari.  In Svizzera, prima di introdurre 22 nuovi casinò, il governo fece realizzare un’indagine per valutare i danni provocati dal gioco. In Italia negli ultimi 15 anni sono state progressivamente introdotte nuove offerte di gioco d’azzardo pubblico, senza porsi alcun problema sull’impatto sociale. 

Non si tratta di una questione di moralismo. È anzitutto un problema di coesione sociale e di risorse finanziarie, che non possono essere sprecate soprattutto in una situazione di crisi economica. Uno Stato indebitato come l’Italia può permettere che le persone si indebitino magari per poter continuare a giocare? E poi è anche questione di coerenza con quanto si dice nei propri principi fondamentali. Si può scrivere nella Costituzione che la Repubblica “è fondata sul lavoro” (art. 1) e che il lavoro è un dovere per il “progresso materiale e spirituale della società” (art. 4) e poi incentivare le scommesse e l’azzardo?  Li avete visti i nostri anziani “rincretiniti” davanti ad una macchinetta in cui scorrono le figurine? Le avete osservate le casalinghe (a proposito: 1/3 dei giocatori sono donne) che acquistano pacchetti di gratta e vinci e verificano il risultato in modo compulsivo?  Tutto ciò è comunque solo un segmento del danno sociale effettivo. Occorre sottolineare che il gioco organizzato – secondo la procura nazionale antimafia – “è la nuova frontiera della criminalità mafiosa”. Infatti, anche considerando soltanto l’ultimo anno giudiziario, si possono segnalare decine di casi in tutta Italia. Tanto per fare un esempio, il clan dei “casalesi” era arrivato a controllare la società più importante a livello nazionale nelle scommesse sportive.  Inoltre, la presenza di slot machine è sicuramente un forte attrattore per la malavita, a tal punto che alcuni esercizi commerciali preferiscono non installare le macchinette, rinunciando volontariamente ad una considerevole entrata, per non esporsi ai rischi di danneggiamenti e furti.  In Italia nel 2010 erano in funzione circa 350mila macchinette elettroniche per giochi e lotterie. Entro la fine del 2011, con le ultime aste, verrà superata quota 400mila. Una macchinetta “mangiasoldi” ogni 150 residenti. Come ha scritto il giornalista Paolo Biondani, si tratta di un “mini-casinò in ciascun condominio”. 

Di fronte a tutto ciò, almeno di un fatto siamo certi: non sarà una scommessa a salvarci …

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