NEWS

Condello, il ‘Fortino’, confiscato nel 1997,assegnato solo lo scorso anno

Di Anna Foti il . Calabria

Denominato il ‘fortino’, il palazzo che dal lontano gennaio 1997 non è più di proprietà  di Pasquale Condello, gotha della ndrangheta arrestato nel febbraio 2008 dai Carabinieri dopo 18 anni di latitanza. Confiscato definitivamente 14 anni fa, l’assegnazione a fini sociali dello stesso stabile riguarda tutti i piani dello stabile di Via Mercatello 11 ad Archi, zona Nord di Reggio Calabria, e giunge con delibera della Giunta Municipale che reca la data del 24 febbraio 2010, cioè 13 anni dopo il provvedimento di confisca. Assegnato a cooperative e associazioni lo scorso anno per divenire una struttura di accoglienza per indigenti, lo stesso stabile fu inserito in un piano di ristrutturazione pari a 2 miliardi e mezzo di euro deliberato dalla Giunta regionale Chiaravalloti in carica fino al 2005, di cui una fetta significativa, pari a 500 mila euro erano destinati al Fortino, ancora occupato.  
Lo sgombero infatti avvenne nel 2006, a seguito dell’indagine del Ros dei Carabinieri, sulle tracce di Condello detto il Supremo, che sullo stesso stabile confiscato, ma ancora occupato, aveva individuato un luogo strategico per i movimenti dei fiancheggiatori. Quindi una permanenza ignorata e tollerata per 9 anni, poi l’indagine del Ros sui ritardi nelle assegnazioni dei beni medesimi a Reggio Calabria, e quindi lo sgombero nel 2006. Il bando di gara, l’assegnazione dei lavori e l’avvio degli stessi avvennero entro il maggio del 2007, quando il bene era già sgombero come ha chiarito il sindaco del tempo Giuseppe Scopelliti, oggi presidente della Regione Calabria.  
Cosa sia accaduto in questi tredici anni è tornato alla ribalta in questi giorni con il racconto dell’ex comandante del Raggruppamento Operativo Specializzato ROS dei Carabinieri negli anni della caccia a Condello, colonnello Valerio Giardina nell’ambito del processo Meta contro i vertici della ndrangheta reggina. Un capitolo riaperto anche sulla scorta di quell’informativa dello Ros nel 2006, in cui si accertava che il bene era stato confiscato, dunque entrato definitivamente nelle disponibilità del Demanio dello Stato già 9 anni prima, ma ancora nel 2006 non era stato sgomberato ed era invece occupato abusivamente dai familiari del supremo, già condannato. Un’inerzia piuttosto insolita e grave quella dell’amministrazione comunale reggina che condusse, all’epoca, ad indagini per ipotesi di omissione di atti di ufficio con l’aggravante di aver portato dei benefici alle organizzazioni mafiose.  
Un’indagine che mise in luce i tanti ritardi, le irregolarità e solo tre comuni in regola, all’epoca, Platì – comune reggino sciolto per infiltrazioni mafiose e noto per essere l’ente locale con il reddito pro capito più basso d’Italia – con un solo bene confiscato alla famiglia Barbaro e adibito per fini istituzionali a caserma dei Carabinieri, Fiumara con il palazzo di Nino Imerti adibito ad ospitare una scuola ed uffici pubblici, e Maropati con il terreno di Michele Audino assegnato alla cooperativa sociale ‘Futura’.  
Nell’ambito di quella operazione investigativa furono indagati oltre trecento sindaci, amministratori, professionisti. Denunciati anche l’allora sindaco Giuseppe Scopelliti, l’assessore alla Polizia Municipale Graziano Melandri ed il pm di Palmi Giuseppe Adornato.
Nell’ambito dell’indagine sui ritardi nell’assegnazione dei beni nel 2006, furono interrogati il capo di Gabinetto Franco Zoccali, il funzionario dell’ufficio beni confiscati Giuseppe Granata. Furono sentiti anche altri dirigenti e dipendenti della stessa amministrazione oltre che l’ex sindaco facente funzioni all’epoca della destinazione e della consegna Demetrio Naccari Carlizzi.   
Una vicenda nelle cui pieghe si annidano una serie di criticità, una su tutte la permanenza delle famiglie delle persone condannate, dunque uno degli ostacoli più  significativi e ricorrenti nella situazione di beni confiscati, ma solo sulla carta. Torna alla memoria anche la storia dell’immobile sito in via XXV luglio a Reggio Calabria, assegnato all’associazione Riferimenti e alla Croce Rossa nel 2008,  appartenuto alla famiglia Lo Giudice che lo mantenne in uso per anni anche dopo la confisca definitiva. L’immobile fu danneggiato prima di essere lasciato dagli inquilini divenuti abusivi. Un’altra storia che pone in evidenza come siano molti gli immobili ancora occupati, non realmente disponibili per l’effettiva riutilizzazione sociale cui sono destinati per legge, segno tangibile di uno Stato che non riesce ad imporsi sul potere mafioso.
Dunque non solo la carenza di fondi e di progettualità per il riutilizzo sociale di beni e la difficoltà di raccogliere informazioni sullo stato di questi beni, oggi più razionalizzate grazie al contributo dell’Agenzia Nazionale ad hoc istituita con a Reggio Calabria lo scorso anno, ma anche questo spigolo appuntito e particolarmente insidioso.  
A valle il fallimento dello strumento di affermazione di legalità quale l’uso sociale dei beni confiscati, a monte le inerzie delle amministrazioni a volte incapaci di intervenire, a volte compiacenti e succubi del dominio mafioso.  

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link