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Processo per il delitto di Lea Garofalo

Di Marika Demaria il . Sicilia

«Lei non si deve permettere, io non vedo mia madre da due anni perché...». La reazione di Denise Cosco è tanto rabbiosa quanto comprensibile. Sono quasi le 13 di giovedì 13 ottobre: nel Tribunale di Milano si prosegue la celebrazione del processo per l’omicidio di sua madre, Lea Garofalo, scomparsa la notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Sono oltre tre ore che la ragazza risponde alle domande della difesa, ma quando uno degli avvocati mette in dubbio che la donna sia morta, la reazione è immediata. Il compito della difesa è di scagionare i propri assistiti, e dunque già nel corso della prima udienza era stato commentato che «mentre noi siamo qui in quest’aula di tribunale, la signora Garofalo magari è in vacanza in qualche posto lontano, al caldo». Alla ripresa dell’udienza, Denise si scuserà con i presenti in aula per lo sfogo dettato da uno stato d’animo di una giovane ragazza che, nell’arco di pochi mesi, ha dovuto sopportare la tragica fine della madre (i capi d’imputazione a carico dei reclusi sono omicidio e distruzione del cadavere mediante scioglimento dell’acido), ha visto nuovamente il proprio padre dietro le sbarre (Carlo Cosco è infatti stato arrestato nel febbraio 2010) dopo che aveva assistito, a cinque anni, al suo primo arresto, e si è vista portare via anche il suo ragazzo, Carmine Venturino. Le manette ai polsi del giovane sono infatti scattate il 18 ottobre, con l’accusa di sequestro di persona e distruzione di cadavere. «Di mia mamma – racconta Denise – parlavamo poco, quando toccavo l’argomento lui mi diceva che non sapeva niente e che niente ne voleva sapere». Gli stessi capi d’imputazione pendono su Massimo Sabatino: ieri i due uomini, vicini nelle gabbie predisposte all’interno dell’aula, commentavano la deposizione di Denise, si scambiavano articoli di giornale e caramelle. Nella prima gabbia, paradossalmente la più vicina alla Corte e dunque a Denise, c’erano Rosario Curcio e i tre fratelli Cosco: scuotevano il capo quando la ragazza parlava, si giravano a salutare, sorridenti, i parenti e gli amici che, in fondo all’aula, assistevano all’udienza.

La vita di Denise Cosco era già stata posta sotto la lente d’ingrandimento il 29 settembre scorso, quando la giovane figlia di Lea Garofalo aveva deposto dinanzi al pm Marcello Tatangelo. Ieri però tutto è stato ancora più pressante. La ragazza è tornata a sedersi dietro al banco degli imputati – nascosta dagli sguardi degli imputati (il padre Carlo Cosco, gli zii Vito e Giuseppe Cosco, l’ex fidanzato Carmine Venturino, oltre a Rosario Curcio e Massimo Sabatino) e del pubblico presente in aula – per sottoporsi alle domande della difesa. Gli avvocati hanno scandagliato il passato, soffermandosi anche su aspetti che lo stesso Presidente della Corte, il giudice Filippo Grisolia, ha apostrofato come «non rilevanti ai fini del dibattimento e dunque non ammissibili». A Denise Cosco l’avvocato Maira Cacucci, difensore di Giuseppe Cosco, aveva chiesto di fare diversi sforzi mnemonici, chiedendole di ricordare che cosa avesse acquistato al supermercato la sera in cui con la madre sarebbe dovuta ripartire da Milano alla volta di Petilia Policastro, se fumasse anche davanti al padre, se la sera del 24 novembre 2009 – data della scomparsa di Lea Garofalo – lei si fosse addormentata subito una volta coricatasi oppure se avesse fatto fatica a prendere sonno. Denise deve ripercorrere gli anni della sua infanzia e della sua adolescenza, le viene chiesto di raccontare perché sua madre avesse deciso di uscire volontariamente dal programma di protezione: «Perché era sfiduciata, si era resa conto che le sue denunce fatte nei confronti di mio padre erano state vane», ha ribadito, riferendosi a un episodio delittuoso di cui lo stesso Carlo Cosco aveva messo a conoscenza la compagna.

Nel pomeriggio l’interrogatorio procede, con l’intento di far luce su alcuni punti della deposizione che la ragazza aveva rilasciato al pubblico ministero. L’avvocato Daniele Sussman, difensore di Carlo Cosco, chiede lumi in merito a due documentazioni cartacee in suo possesso. La prima è datata 25 febbraio 2010: Denise Cosco sottoscrive una rinuncia volontaria al programma di protezione che prevedeva un’auto non protetta e la vigilanza dinamica con agenti di scorta in orari convenuti. «Sapevo che non avrei potuto nemmeno fare una passeggiata senza essere accompagnata e così ho rinunciato. E poi non aveva senso che scortassero solo me senza che anche mia zia Marisa e mia nonna Santina fossero inserite all’interno del programma di protezione». Il legale esibisce inoltre una lettera scritta da Denise al padre, nel 2010. Una lettera in cui la figlia esprime vicinanza al genitore. Tornano alla mente le parole che la ragazza aveva dichiarato nel corso della precedente udienza: “Con queste persone, o te le fai amiche, altrimenti rischi di essere uccisa”.

La difficile seduta si è conclusa con la testimonianza del carabiniere Marco Sorrentino dei Ris di Roma, il quale ha reso noti i risultati dei rilievi di impronte fatti sul luogo dell’aggressione del 5 maggio 2009 a Campobasso: «Le cinque tracce digitali – indice, medio e anulare della mano destra, indice e medio della mano sinistra – corrispondono a Massimo Sabatino». L’uomo è già stato indicato dall’accusa come il finto tecnico della lavatrice che entrò in casa di Lea Garofalo e Denise Cosco con l’intento di uccidere la donna, evento che fu sventato dalla figlia.

La prossima udienza del processo si svolgerà il 27 ottobre, alle 9.30, nel Tribunale di Milano.

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