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Sicilia: contadini senza padrino a Corleone

Di Jean - Jacques Bozonnet il . Dai territori, Internazionale, Sicilia

Visti dai francesi. Le Monde, racconta in un reportage da Corleone, un Sud dal volto sempre più limpido, dinamico, positivo. L’esperienza delle cooperative nate sui beni confiscati alle mafie (dalla Sicilia alla Puglia, attraversando Calabria e Campania) ne è l’esempio più avanzato. Insieme ai prodotti Libera Terra su quei terreni crescono anche generazioni di giovani che studiano, lavorano, lottano e costruiscono. Muovendosi dalla terra alle parole, attraverso la memoria, il racconto del collega francese, Jean – Jacques Bozonnet, individua una ad una le peculiarità di questa nuova società responsabile saldamente “in piedi” in terra di mafie.

Il piccolo trattore rosso di Innocenzo Micieli va e viene fra i filari delle vigne, rivolta la terra ancora impregnata dell’umidità della notte, riempie col suo ronzio il paesaggio delicatamente ondulato del corleonese. Il nome di questa fertile regione agricola, situata a una cinquantina di chilometri da Palermo, è storicamente associata a Cosa Nostra, la mafia siciliana. D’altronde, la vigna che Innocenzo lavora quel mattino apparteneva una volta al sanguinario Giovanni Brusca, l’uomo che assassinò il magistrato Giovanni Falcone nel 1992. “Prendere la terra da un mafioso e coltivarla? Ancora qualche anno fa era impensabile. Solo per il fatto di pensarci, eri un uomo morto”, dice sorridendo il contadino, saltando giù dal veicolo.

Questo corleonese di una cinquantina d’anni è uno dei quindici soci della cooperativa Placido-Rizzotto-Libera Terra, la più importante delle tre imprese agricole create dal novembre 2001 per gestire le terre e i beni confiscati ai boss mafiosi: Brusca, arrestato nel 1996, ma anche Toto Riina, in prigione dal 1993, e il suo successore a capo dell’organizzazione, Bernardo Provenzano, catturato nell’aprile 2006. Assunto per la sua esperienza nel campo dell’agricoltura biologica, Innocenzo ha subito compreso di lavorare in una cooperativa diversa dalle altre: “Il furto di un trattore e l’incendio doloso di un raccolto, sin dai primi mesi sono stati segni evidenti di intimidazione”, ricorda.

Dall’altra parte della collina, Salvatore Ferrara vigila il lavoro dei suoi operai inarcati sui giovani ceppi. E’ uno dei fondatori della cooperativa Lavoro e Non Solo, nata nel 2001 su dieci ettari appartenuti alla famiglia Riina: “I commercianti di Corleone hanno rifiutato i nostri barattoli di passata di pomodoro, allora le abbiamo vendute”, spiega. “La gente aveva paura, anche i nostri amici si sono allontanati”. Oggi i dodici soci di Lavoro e Non Solo gestiscono più di un centinaio di ettari, aiutati da lavoratori stagionali e da volontari.

I giovani corleonesi, come Francesco, il figlio di Innocenzo Micieli, che ha appena creato la terza ‘coop’, Pio La Torre-Libera Terra, nel giugno 2007, non conosceranno la stessa ostilità che hanno incontrato chi li ha preceduti.

“Per il primo raccolto, nel 2002, si dovette fare appello alla giustizia per requisire una mietitrebbiatrice”, ricorda Francesco Galante, uno dei dirigenti di Placido-Rizzotto. “Lo sguardo degli altri è cambiato, anche se i rischi di sabotaggio non sono spariti”, aggiunge Salvatore Ferrara. Con la punta delle cesoie indica un campo vicino dove una famiglia di mafiosi, assicura, ha fatto pascolare le sue pecore poco dopo la semina.

Ormai il grano cresce in pace nei dintorni di Corleone e la pasta anti-mafia è in vendita ovunque sotto l’etichetta ‘Libera Terra’. Nel 2007, 850000 pacchi sono stati smerciati nei reparti di alimenti biologici nei supermercati italiani. La cifra delle vendite delle tre cooperative ha superato 1,5 milioni di euro nel 2007. Si scommette sulla produzione viticola per sviluppare i guadagni: “E’ il vino che esprime al meglio la personalità di questa terra”, affermano i responsabili. A fine marzo il nettare prodotto sui loro 47 ettari di vigne, sotto l’unico appellativo Centopassi, è stato selezionato a Vinitaly, l’esposizione vinicola italiana.

Segno che i tempi cambiano, più di 300 candidati hanno risposto all’appello d’offerta per la gestione di Pio La Torre, contro lo scarso centinaio presentatisi sei anni prima quando i progetti delle cooperative anti-mafia coltivavano soprattutto l’utopia. Ma l’avventura di questi giovani agricoltori, che tentano di far rivivere la loro terra nella legalità – tutti i lavoratori hanno dei contratti regolari – resta precaria. La maggior parte ha mantenuto un’altra attività per sbarcare il lunario. Certi fondatori hanno perfino dovuto rinunciarvi. “Si tratta di imprese ad alto contenuto etico e sociale, ma che vogliono affermarsi come ogni altra attività economica per la qualità intrinseca dei loro prodotti creando della ricchezza sul territorio”, spiega Gianluca Faraone, il giovane presidente di Placido-Rizzotto.

L’investimento di partenza è gravoso per questi contadini della legalità. A causa delle lentezze burocratiche, ma anche delle ‘pressioni’ dei vecchi proprietari, i beni non son attribuiti che sette, dieci, o anche quindici anni dopo la loro confisca. Poi bisogna restaurare i materiali arrugginiti, gli edifici degradati e i terreni incolti.

Vecchio presidente della commissione parlamentare anti-mafia, il deputato del posto, Giuseppe Lumia (centro-sinistra) patrocina la creazione di un ente specializzato allo scopo di accelerare l’assegnazione dei beni confiscati: “Quattro mila sono stati ridistribuiti negli ultimi anni”, dice “Bisognerebbe arrivare a dieci mila di qui a un anno”.

Non essendo proprietari dei beni che gestiscono, i ‘ragazzi anti-mafia’ non possono fornirli in garanzia alle banche per ottenere prestiti. Che lo Stato rivenda loro questi terreni è fuori questione, in particolar modo a causa del rischio di vederli riacquistati da dei prestanome agli ordini della mafia. “Bisogna che la regione Sicilia crei urgentemente fondi di garanzia regionali”, avanza Giuseppe Cipriani, il vecchio sindaco di Corleone (centro-sinistra) che è stato uno dei promotori di questa iniziativa. Avverte: “Se le cooperative non riescono a vincere la sfida economica, sarà una catastrofe per la lotta anti-mafia”.

Il sindaco attuale del piccolo paese, Antonio Iannazzo, un giovane eletto da Alleanza Nazionale, valuta che il processo di riconquista avviato dai giovani siciliani “è irreversibile, se lo Sato lo vuole”. Il funzionario ha accolto molto male il ritorno in paese di Salvuccio Riina, 27 anni, il figlio dell’ex-padrino, uscito di prigione prematuramente, all’inizio di marzo, a causa di una falla procedurale. La municipalità ha protestato ufficialmente contro l’assegnazione della sua residenza a Corleone.

“C’è certamente un’evoluzione di mentalità, ma il territorio non è ancora maturo per una tale presenza”, si rammarica il sindaco.

La questione scalda gli animi al bar Centrale. Marlon Brando e Al Pacino appaiono sui muri dello stabile, ma al banco Toto Riina junior occupa il centro delle discussioni. “E’ un personaggio ingombrante, la gente lo saluta, la mia paura è che diventi un eroe negativo”, confida il sindacalista Dino Paternostro, una figura locale dell’anti-mafia. Allora Corleone si rifugia nuovamente nel simbolo delle sue cooperative: tutte le estati, decine di giovani arrivano dalla Toscana, dall’Emilia Romagna e anche dall’estero per aiutare nei campi e per solidarietà con la lotta dei giovani corleonesi. Di sera tutta la gioventù si ritrova per un riposo ben meritato in un grande casermone recentemente affidato alla cooperativa Lavoro e Non Solo: la casa natale di Bernardo Provenzano.

(Si ringraziano: Giacomo Governatori per la traduzione e i ragazzi di Corleone Dialogos , Libera Informazione_ Sicilia)

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