Rapito in Darfur volontario di Emergency
Emergency chiede la liberazione immediata di Francesco Azzarà ed auspica piena collaborazione, si legge nel comunicato dell’organizzazione. Intanto lo stesso Ministero degli Esteri fa sapere attraverso un comunicato che “l’Unità di Crisi della Farnesina, in stretto contatto con Emergency e la missione Onu in Darfur (UNAMID) e in pieno coordinamento con l’Ambasciata a Khartoum, ha attivato tutti i canali disponibili presso le autorità locali per una soluzione della vicenda. Il Ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, segue personalmente gli sviluppi e ha disposto il rientro a Khartoum dell’Ambasciatore, momentaneamente in Italia’’.
Francesco Azzarà si è laureato a Pisa in Economia aziendale. Si è specializzato in commercio estero ed ha avuto molte esperienze professionali fuori dall’Italia. Collabora ad Emergency, secondo quanto ha riferito il cognato Vincenzo Catalano, da circa un anno ed era in Sudan da circa un mese e mezzo dopo essere stato in altri Paesi sempre per Emergency. “Un esperienza – ha detto Vincenzo Catalano – che lo sta appassionando molto. La nostra speranza è che Francesco venga liberato il più presto possibile e che questa vicenda si concluda nel modo migliore”. A questa speranza ci uniamo con forza tutti. Il centro pediatrico di Nyala, provincia attanagliata dalla guerra civile nel Sud del Darfur, presso cui era in seconda missione Francesco prima del rapimento, nasce lo scorso anno ad opera dell’’organizzazione medico-umanitaria fondata da Gino Strada e attiva in Sudan dal 2004, anche attraverso gli ospedali di Mellit e al Fashir. Il centro, che presta cure mediche ai bambini fino a 14 anni e svolge attività di educazione igienico-sanitaria rivolte alle famiglie, rientra nel Programma regionale di pediatria e cardiochirurgia. Gli interventi di Emergency in quell’area tormentata dell’Africa si sono concretizzati anche nella costruzione nel 2007, nell’ambito della campagna ‘Diritto al Cuore’ del centro di cardiochirurgia Salam, a Soba, ad una ventina di chilometri da Khartoum, la capitale. Si tratta dell’unica struttura specializzata e gratuita in un’area abitata da oltre 300 milioni di persone.
In otto anni di guerra (genicidio) esplosa nel Darfur, regione ad ovest del Sudan, tra le milizie filogovernative, Janjawid, ed altri miliziani reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi, il bilancio di vittime e sfollati è ad oggi pesantissimo. Si parla di centinaia di migliaia di persone. “Ad aprile si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari. Il presidente Al Bashirè stato rieletto nonostante le notizie di brogli e di voti truccati, che hanno portato al ritiro dalle elezioni di alcuni dei principali partiti di opposizione”, si legge nel rapporto 2011 di Amnesty International.
Le comunità combattono tra di loro per il bestiame, i terreni e le risorse naturali, il clima di insicurezza, la violenza, la proliferazione di armi di piccolo calibro e le violazioni dei diritti umani da parte di vari gruppi armati, tra cui soldati dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Sudan People’s Liberation Army – Spla) proseguono, continuando a colpire civili ed operatori umanitari. Decine di migliaia di sfollati interni e rifugiati hanno fatto ritorno nel solo 2010 in Sudan del Sud dal nord del paese e dai paesi vicini, principalmente dall’Uganda. Una situazione di grande allarme in un paese che è in guerra da quasi un decennio, nonostante le missioni ONU degli ultimi cinque anni. In un paese in cui si rischia la vita anche quando, invece di fare la guerra, si opera per la pace.
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