L’autostrada che non c’è
E’ stata una giornata lunga. Ma siamo finalmente giunti alla meta, all’incirca alle nove e mezza di sera, giusto in tempo per condividere con i volontari della cooperativa di Libera Terra “Beppe Montana” il nostro spettacolo. Siamo nell’interno della Sicilia, in provincia di Catania, in una cooperativa intitolata al valoroso poliziotto Beppe Montana, caduto a Palermo per mano della mafia il 28 luglio 1980: da una cooperativa sorta su un bene confiscato siamo partiti questa mattina e in una realtà analoga arriviamo, a notte ormai fatta. E’ stata una giornata passata sulla strada, e giunti al termine del viaggio abbiamo ora una consapevolezza: l’Italia è bella lunga. Noi del piccolo Friuli Venezia Giulia forse a volte non ce ne rendiamo conto, nel nostro microcosmo: ma dopo oggi, non ci saranno equivoci.
Lo Stivale sarà stretto, si, ma quando lo si scende pare non finire più. Ma del resto, avremmo dovuto aspettarcelo, si sapeva che oggi avremmo affrontato il nemico più difficile, la sfida più ardua di questo lungo viaggio. Un nemico che ti snerva, che ti massacra: la Salerno-Reggio Calabria. Che non è un’autostrada, anche se si fregia di questo nome. Avevamo preventivato di attraversarla in cinque-sei ore: ce ne abbiamo messe dieci, e abbiamo per fortuna trovato poca coda. Ma siamo stati contenti di aver fatto anche questa esperienza: abbiamo potuto toccare con mano un’altra piaga, un’altra ferita aperta di questa nostra Italia. L’asfalto sconnesso, le gallerie con uscita in curva, i lunghissimi tratti a corsia unica e anche a doppia percorrenza senza spartitraffico in alcuni settori. E poi le tratte parallele in costruzione, le opere immense, senza che se ne indovini la logica, e i mille cantieri aperti. I mille cantieri chiusi, anche, che paiono abbandonati, con i materiali lasciati lì. Tutto un immenso cantiere, in realtà, al cui centro scorre il lento serpentone delle auto, presidiato da decine e decine di uomini dell’Anas, che ne sorvegliano la deriva. Ma non si deve pensare che questa strada sia lontana dal tema della nostra Carovana: questa strada potrebbe anzi assurgere a simbolo del dominio mafioso nei difficili territori calabri. Non è chiaramente un caso la spropositata lunghezza dei lavori e la sensazione di in finitezza e indefinitezza del progetto: il programmatico spartirsi degli appalti da parte delle ‘ndrine è qualcosa che mi è stato raccontato molte volte, anche se non ho una conoscenza approfondita. Ma l’esperienza basta a rendersi conto che qualcosa non va in questa infinita strada, l’impraticabile arteria del Sud d’Italia che è ormai simbolo stesso di un paese, o almeno di un certo modo di fare che purtroppo domina, in questo paese. Quello mafioso, quello della connivenza e della corruzione, degli appalti truccati e dei soprusi: quello cui Libera vuole opporre un’altra etica e un’altra umanità. Quell’umanità che da tanti amici ci è stata raccontata nel corso di questo viaggio, che abbiamo appreso e che vogliamo a tutti i costi raccontare e contribuire a diffondere. Oggi però il viaggio ci ha portato via tutta la giornata: almeno, giunti in fondo allo Stivale, abbiamo avuto modo di mirare la meravigliosa riviera calabrese, le rocce, i paesi arroccati, il mare azzurro cui noi non siamo abituati.
E poi dal traghetto, mentre passavamo fra Scilla e Cariddi, la bellezza di queste coste che si gettano a strapiombo, condite dalla brezza e da un meraviglioso tramonto mediterraneo, con addosso la voglia che ci saliva di gettarci anche alla conquista della Sicilia meravigliosa e difficile, aspra e misteriosa, ma impareggiabile. Scendiamo la costa orientale verso Catania, e purtroppo arriviamo alla Cooperativa troppo tardi per incontrare il preside Armando Rossitto, di Lentini, che vedremo domani mattina. Giunti, giusto il tempo di condividere una pizza con i volontari della cooperativa, e poi subito sul palco, ancora con “Soqquadro”, pur affranti, pur piegati (ma non spezzati) dalla Salerno-Reggio Calabria: ma del resto, show must go on.
Dizionario della resistenza
TERRA
Apro il Libro: leggo e rifletto. “Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
Don Mario Vatta
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