Alla scoperta delle “nuove resistenze” del Nord
Il risveglio ci regala lo splendido panorama che la sera precedente avevamo ammirato troppo poco per l’ora tarda: Cascina Caccia domina ed è immersa in un vero paradiso naturale. Purtroppo, però, non abbiamo tempo per fermarci troppo a lungo: dobbiamo ripartire. Non prima, però, di aver conosciuto Isabella, che collabora alla gestione. della Cascina, e che ci racconta la storia del bene confiscato che ci ha dato rifugio per una notte. La Cascina che sorge sulla collina che domina San Sebastiano e i terreni che la circondano sono stati infatti per anni, quasi quaranta, proprietà della famiglia Belfiore, calabrese, mafiosa.
Come ci racconta Isabella, i Belfiore erano, fra i Settanta e gli Ottanta, la più potente famiglia mafiosa piemontese, con il controllo e la possibilità di sfruttare un territorio ricco e vastissimo. Ma trovarono sulla loro strada un uomo onesto, e, come ebbero modo di capire, incorruttibile, il giudice Bruno Caccia, nei primi anni Ottanta procuratore generale di Torino. Lo fecero uccidere, ma la verità emerse solo dopo molti anni: per molto tempo infatti le indagini furono depistate da false piste, che parevano in un primo tempo condurre verso una matrice brigatista dell’omicidio. Alla fine, però, i Belfiore furono condannati, e c’è chi di loro, adesso, sconta l’ergastolo. La Cascina fu loro confiscata nel 1997, ma solo nel 207 si riuscì a farne uscire i Belfiore: allora poté partire il riutilizzo sociale del bene. E proprio al giudice Caccia fu dedicata, e prese il nome suo e quello della moglie Carla, che si spense invece molti anni dopo. Dieci anni passarono però, fra confisca e riutilizzo e sono tanti: ma accade spesso, come ci racconta Isabella, che il riutilizzo dei beni confiscati richieda tempo: lungaggini burocratici, vuoti normativi, ipoteche.
Insomma, le confische funzionano, ma il riutilizzo dei beni va molto più a rilento. Ed è anche per questo che la prima iniziativa di Libera, quando nacque, fu la raccolta di firme che condusse alla legge 109 del 1996, tesa a rimodernare la preziosa legge Rognoni-LaTorre, che per prima disciplinava confisca e riutilizzo dei beni. Insomma, la strada è lunga, ma la sensazione è già quella di una vittoria, Isabella è decisa sul punto: “E’ un esempio pratico di come si possa costruire una nuova cultura sociale e umana alternativa a quella mafiosa: producendo questo miele nella Cascina che fu dei Belfiore, lavorando insieme perché questa diventi una Cooperativa di Libera-Terra, creando un profitto onesto e pulito”. Ripartiamo subito dopo aver visitato i terreni della Cascina, lasciamo l’atmosfera bucolica dei colli piemontesi per rimetterci in autostrada: puntiamo a Sud, e sbuchiamo dalla gallerie dell’Appenino proprio davanti al porto di Genova.
Da lì, seguiamo la bella costa ligure fino a una città della provincia di La Spezia, Sarzana, dove siamo accolti da un amico: Marco Antonelli, responsabile del presidio di Libera “Dario Capolicchio” di Sarzana. In programma c’è l’incontro con Guerino Capolicchio, padre di Dario, studente che cadde, vittima innocente, nella strage di Via dei Georgofili a Firenze, nel 1993. Facciamo con lui una chiacchierata che, pure nell’afa del pomeriggio agostano, trasmette calore, e sentimento. Parliamo di tanti temi legati alla mafia, e Guerino ne è un vero esperto, ma quasi mai del figlio Dario. Fra tutti noi è come un doloroso sottointeso, tragico e beffardo, se solo si pensa che Guerino venne a vivere al Nord partendo proprio da un luogo fortemente intriso di Mafia, e perse il figlio in un attentato mafioso. Guerino è un vero guerriero, provato, certo, ma indomito: un uomo che ha fatto della resistenza una missione di vita. Resistere anche dopo la perdita di un figlio, resistere ogni giorno, ogni giorno trovare il coraggio di vivere. “Resisto per forza di volontà”, ci dice: “perché lo devo a Dario”, ho la sensazione che pensasse. Lasciato il nostro ospite, Marco ci porta nell’agriturismo della sua famiglia, sulle colline intorno a Sarzana, e scopriamo un nuovo paradiso: gli uliveti, le viti, la macchia mediterranea meravigliosa dell’aspra Liguria, i paesi arroccati e, di fronte, il mar Ligure. Il mare come cornice perfetta. E capiamo di aver lasciato l’idillio di Cascina Caccia per trovarne uno se possibile ancora migliore.
A Marco e alla sua famiglia va il nostro immenso ringraziamento per averci accolto a braccia aperte, per averci ospitato e per l’eccellente cena che hanno avuto la prontezza di preparare per ventiquattro persone. Una gentilezza che, è una promessa, non dimenticheremo. La sera, anche a Sarzana va in scena lo spettacolo “Soqquadro”, scritto e interpretato da alcuni membri della Carovana: è dedicato ai centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, tema che è in realtà il filo conduttore di tutto il nostro viaggio. Lo sto guardando proprio ora, mentre scrivo: lo stanno recitando nel cortile del circolo Arci di Sarzana, e mi pare sia meglio di sera in sera. Per quando arriveremo a Palermo, sarà perfetto.
*** Testimonianza
“… adesso è il tempo dell’impegno che non può attendere, perché adesso la libertà e la dignità negate chiedono una risposta, adesso la speranza chiede di essere costruita. La storia delle persone è cammino di liberazione se i presenti che la compongono vivono nella tensione dell’adesso, del rinnovato inizio”. Adesso, dunque, è il messaggio che Luigi Ciotti ripete nelle assemblee, negli incontri e quand’è a tu per tu. Ed è un segnale forte – forse inquietante – che può smuovere le coscienze che sono attente e fiduciose. Adesso significa l’urgenza del “si può fare, si deve fare”. adesso dunque, senza attendere, senza rinvii. È l’impegno per le persone, con le persone di questo nostro Paese. Si può fare, allora. Si deve fare.
Don Mario Vatta
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