Cie di Ponte Galeria, il cortocircuito dell`identificazione
Una tripla serie di sbarre. Camionette che entrano ed escono (esercito, carabinieri, polizia e finanza). Una trentina di telecamere all`interno. Un regolamento paranoico che non permette di fare nulla. “Qui dentro ci dovrebbe stare Totò Riina`, commenta qualcuno all`ingresso. E invece ci sono una madre strappata alla figlia di due anni (stavano a Napoli), un marocchino da 15 anni in Italia che avrebbe perso la cittadinanza dopo la separazione della moglie, persone da identificare ma che misteriosamente hanno in tasca il passaporto e infine (la maggior parte, circa il 60%) quelli che non riescono a uscire dal corto-circuito carcere – Cie. Contrariamente ai luoghi comuni, ci sono persone da anni in Italia e non quelli che sbarcano a Lampedusa.
Uno spaccato molto chiaro è offerto dall`ispezione condotta da sei deputati dell`opposizione, avvenuta il 25 luglio. Colombo definisce Ponte Galeria un “monumento alla violazione della Costituzione`. Tutti chiedono che i CIE – così come sono ora – vengano chiusi. Che si cambi la legge vigente sull`immigrazione (Livia Turco, co-autrice della precedente legge, la definisce “Maroni-Berlusconi`). Molti dei reclusi sono stati condannati, hanno finito di scontare la pena, ma non sono stati identificati. “Chi subisce una condanna dovrebbe essere abbondantemente identificato`, commenta uscendo Furio Colombo.
E invece non è così, quasi sempre a causa di problemi con i consolati. Quindi eccoli nel limbo circondato da alte punte di ferro. Ecco il tempo indefinito scandito dagli atti di autolesionismo, dai tentativi di fuga, dalle rivolte. Maroni ha crudelmente prolungato a 18 mesi, un anno e mezza di vita gettato via, questo periodo di vuoto. Carcere senza diversivi, reclusione senza reato. “Il problema è che in carcere si sta meglio`, racconta all`uscita l`onorevole Sarubbi. “Non si può leggere perché si possono incendiare i libri, non si può giocare a biliardino perché la stecca è pericolosa. Tutto è un problema di sicurezza e il tempo non passa mai`. Una ventina di reclusi sale sul tetto. Per ore, scandisce “libertà` sotto il sole. Improvvisano due striscioni, uno mettendo insieme dei pezzi di nastro adesivo presto portati via dal vento, un altro con un pennarello scolorito. Tutti dal contenuto inequivocabile: “Fascismo`. Guantanamo, scandiscono spesso. Non siamo animali. Chiediamo solo di uscire.
“Alcuni sono arrivati qui il 6 aprile, hanno preso il giorno sbagliato`, spiegano i deputati. Ventiquattrore prima il permesso di soggiorno per motivi umanitari, dopo un destino determinato da misteriose procedure degne di Kafka. “Siamo stati assaliti dalle carte`, raccontano gli onorevoli al termine della lunga ispezione (più di due ore). Così come sono, i CIE vanno chiusi.
* Giornalista, free – lance e animatore di “Terrelibere.it”
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