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Processo Rostagno: quelle carte pieni di appunti arrivate dal passato

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Un «malloppo» di carte, appunti vergati a mano, dattiloscritti, frasi sottolineate, considerazioni segnate a margine di copie di articoli di stampa. Sono le carte che Mauro Rostagno ha utilizzato fino a poche ore prima di essere ucciso, dalla mafia, il 26 settembre del 1988, quando tornando dalla tv privata dove lavorava, Rtc, si trovava al bivio di Lenzi, stretto, e quella sera pure buio, a popchi metri dall’ingresso della comunità Saman. Ieri, 29 giugno, queste carte sono «entrate» nel processo per il suo omicidio. Il faldone tenuto insieme da un paio di elastici è stato consegnato alla Corte di Assise dall’avv. Carmelo Miceli, legale di parte civile per Chicca Roveri e Maddalena Rostagno. Poco prima, ha spiegato ai giudici, quelle carte le aveva ricevute dall’avv. Nino Marino che, ha riferito, lo ha pregato di consegnarle alla Roveri, perchè la stessa poco tempo dopo il delitto del compagno gliele aveva a sua volta consegnate. Nino Marino all’epoca svolgeva attività politica attiva, era segretario del Pci, sul delitto Rostagno stava conducendo una battaglia di informazione, puntando il dito contro la mafia. Carte «importanti» quelle consegnate alla Corte di Assise, dentro ci sono appunti di Rostagno su traffici di droga e di armi, sulla massoneria, sulla mafia, su personaggi importanti di Cosa nostra, come Mariano Agate, fotocopie di articoli riguardanti questi argomenti, «sono la testimonianza – dice l’avv. Miceli – che Rostagno quando fu ucciso era di questo che si stava interessando, la mafia può averlo ucciso per questo, e gli intrecci toccati da Rostagno erano intrecci dove Cosa nostra c’entrava perfettamente». Le difese degli imputati, ma poi tutte le parti, pm e parti civili, si sono riservati di dare il loro parere, ma intanto quelle carte sono finite nel posto più sicuro, la cassaforte della Corte di Assise. In attesa di essere lette.

«Rostagno svolgeva una attività di controinformazione». A dirlo è stato il prof. Umberto Santino, presidente del centro di documentazione «Peppino Impastato». Sentito come primo teste ha confermato che l’interesse di Rostagno era per i traffici di droga, di armi, per la massoneria, comune denominatore la mafia. «Controinformazione – ha spiegato – perchè non era alle consuete fonti che si rivolgeva ma sue fonti erano soggetti che potevano essere coinvolti negli stessi traffici. Lo avvertii del pericolo della strumentalizzazione. Gli parlai anche del suo editore (Puccio Bulgarella deceduto da poco tempo ndr) che sapevo essere coinvolto con la sua famiglia in vicende giudiziarie, ma mi rispose che lui era libero, non subiva pressioni. Mi intervistò a lungo, poi doveva tornare ad intervistarmi ma fu ucciso. Quando andai a Saman il giorno dopo il delitto mi accorsi che non si sapeva nulla lì della sua attività giornalistica, nessuno sapeva nulla della mia intervista, se fosse andata in onda o meno, chiesi se volevano continuare il lavoro che Rostagno voleva fare con me, ma nessuno mi rispose. Quando ci furono i funerali chiesi di potere parlare ma non mi fu permesso, scrissi un articolo dopo per dire che c’era stata da parte della politica una appropriazione indebita di quel cadavere». Il riferimento era «all’on. Claudio Martelli».

Di sua iniziativa, il prof. Santino, ha fornito alla Corte due copie di comunicati stampa, comunciati denuncia della realtà trapanese ricca di commistioni. «Sono relativi – ha spiegato – alla nomina ad assessore regionale dell’on. Francesco Canino (ex deputato Dc, arrestato nel 98 per mafia, il processo contro di lui è sospeso per gravi motivi di salute ndr). Ricordai che questo deputato intervistato dal Giornale di Sicilia aveva detto di essere entrato nei locali del circolo Scontrino senza sapere della presenza di logge massoniche e di essere stato iniziato col rito della “punciuta” del dito, ma quello non era un rito massonico ma mafioso». Gli atti di accusa contro l’on. Canino riguardano proprio i suoi presunti stretti contatti con il capo mafia Vincenzo Virga, il boss condannato ad ergastoli e associazione mafiosa, per essere stato il capo mandamento di Trapani di Cosa nostra, e che nel processo Rostagno risponde dell’accusa di essere il mandante del delitto. Il nome di Canino era già emerso nella precedente udienza, riferito da un teste che partecipando ad un pranzo a Palermo con Puccio Builgarella, ha ricordato che quando a tavola si parlò dell’omicidio Rostagno, Bulgarella disse che una prima volta era riuscito a salvarlo, ma una seconda non ci riuscì perché non era a Trapani, e che a causa di quel delitto da un mese non si parlava con un politico, e lo indicò, sedeva a poca distanza da lui, era l’on. Canino.

In apertura di udienza sono transitati i verbali di interrogatorio di una ex ospite della Saman, Alessandra Faconti, morta nel 2007, che tra l’altro confermò di avere accompagnato Rostagno dal giudice Falcone. Circostanza confermata da un agente della scorta del magistrato. 

Poi è stato il momento del “giallo”. Misteri secondo la difesa, nulla di non chiarito e non chiaribile secondo i pubblici ministeri Del Bene e Paci. In una delle ultime udienze era insorto quello che poi è diventato per l’appunto una specie di giallo. Un interrogatorio in questura al quale sarebbero state sottoposte le teste oculari del delitto Rostagno (non videro compiere l’omicidio la sera del 26 settembre 1988, ma assistettero mentre stazionavano sul marciapiede nei pressi della loro casa, al passaggio dell’auto di Rostagno e di un’altra auto mentre si dirigevano verso Saman ), interrogatorio del quale la difesa dell’imputato Mazzara, avv. Vito Galluffo, ha evidenziato l’inesistenza del relativo verbale. Silvana Fonte, sentita, aveva infatti riferito che l’anno scorso era stata convocata, in questura, precisando: «Mi hanno sentito di nuovo sulla dinamica, magari non era così ufficiale». La donna ha però fatto riferimento alla firma di un verbale, anche se non lo ha riferito in modo certo. Verbale che non c’è.

Ieri la Corte di Assise ha sentito l’ispettore capo Angelo Palumbo e l’ispettore Simona Pettorini, della Squadra Mobile di Trapani, che hanno confermato di avere loro sentito le sorelle Fonte, spiegando che la convocazione delle due donne nasceva da una delega della Procura di Palermo che chiedeva di accertare se il ricordo delle due donne, ripetutamente sentite durante le svariati indagini sul delitto, poteva essere migliore. «Le due donne dissero che non erano in grado di aggiungere nulla, per questo non abbiamo aperto alcun verbale» ha spiegato l’ispettore capo Palumbo. «Se vi fossero state novità – ha aggiunto l’ispettore Pettorini – avremmo aperto un verbale e fatto vedere un album fotografico ma niente di questo fu fatto». Nessun giallo dunque ma soprattutto nessuna omissione è stata compiuta. Secondo quanto è stato possibile dedurre dalle domande dell’avv. Galluffo il pensiero dei difensori, non esternato, sarebbe quello che le due donne videro le foto e tra queste, ricostruzione che si ipotizza dalle domande delle difese, c’era anche quella del presunto killer Vito Mazzara, imputato nel processo per il delitto, ma le sorelle non lo avrebbero riconosciuto, da qui l’assenza di un verbale. Se le cose fossero davvero queste l’omissione finirebbe con l’inserirsi nel filone delle gravi mancanze che nel tempo gli investigatori avrebbero compiuto indagando sul delitto. Ma la Squadra Mobile di Trapani è quella che ha avuto il merito di ridare fiato ad una indagine che stava andando in archivio, e proprio la voce intercettata in carcere dell’imputato Vito Mazzara dà quasi conferma che l’ipotesi di un suo coinvolgimento non sarebbe stata sbagliata. Parlando con i familiari Vito Mazzara si lamenta della pressione dell’opinione pubblica, di “quella cosa vecchia” che torna fuori e poi inviata la moglie ad andare a vedere in un determinato posto della casa di campagna per vedere “se dentro c’è ancora qualcosa e in caso di buttare via
tutto quello che avrebbe potuto trovare”, presumendo una perquisizione. La Polizia giunse prima dopo avere ascoltato l’intercettazione, in effetti trovarono nell’abitazione dell’uomo un incavo sul muro, un nascondiglio a misura di fucile, dentro però non c’era niente. Tornando al presunto giallo la testimonianza dei due poliziotti ha smentito la ventilata ipotesi di un verbale apposta non fatto dopo avere convocato le sorelle Fonte e non sono emersi riscontri che smentiscono gli investigatori, è anche vero che i riconoscimenti fatti in precedenza dalle sorelle Fonte, quando indicarono soggetti appartenenti alla Saman quelli che si trovavano sull’auto che inseguiva quella guidata da Rostagno, risultarono infondati. Insomma troppo giovani all’epoca per riconoscere i volti. I movimenti delle auto invece li ricordano ancora oggi, Mauro che guidava la Duna che arriva sulla strada per Saman, un’altra auto dietro, pochi istanti dopo questa seconda auto che spunta di nuovo sull’incrocio per andare via. Mauro nel frattempo era stato ammazzato.

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