Abbiamo tassato anche il futuro
Quando si parla di tasse sui redditi, di solito emerge giustamente l’ipotesi di tener in maggior conto la famiglia, che la Costituzione tutela (art. 29), con “particolare riguardo alle famiglie numerose” (art. 31). Attualmente per il coniuge e i figli a carico sono previste alcune detrazioni, sicuramente insufficienti. Da decenni viene ipotizzata l’introduzione del “quoziente familiare”, ma in concreto non viene mai attuato. Eppure è evidente che tra una famiglia di 4 persone monoreddito (con un solo adulto che lavora) e un’altra formata da una coppia senza figli dove entrambi i componenti lavorano, le differenze sono notevoli.
Il numero dei componenti di una famiglia dovrebbe contare molto nel calcolo delle tasse da pagare. Ma se tutte le spese effettuate per il mantenimento della propria famiglia fossero deducibili dal reddito, anche questo problema sarebbe risolto automaticamente. Una famiglia numerosa avrebbe più spese e conseguentemente disporrebbe di una minor capacità contributiva. Quindi pagherebbe meno tasse. A questo punto il quoziente familiare diventerebbe una proposta superflua. Oltre alle imposte che gravano sulle famiglie, c’è anche la tassa sulle prossime generazioni. Cosa potremmo pensare di due genitori che tutte le sere vanno al ristorante e mandano il conto da pagare ai figli ed eventualmente ai nipoti?
Questo è ciò che gli italiani stanno facendo. Questo è forse il “peccato” più grande che dobbiamo imputare alla classe politica degli ultimi 30 anni. Per questo andrebbe “processata”, come avrebbe voluto Pasolini. Siamo stati e continuiamo ad essere governati da politici irresponsabili, che non hanno avuto l’onestà e il coraggio di far pagare il dovuto agli italiani, per non rischiare di perdere consensi, voti, potere. Hanno lasciato che vivessimo al di sopra delle nostre possibilità: da decenni la pressione fiscale (che dovrebbe essere ridistribuita ed assegnata secondo la propria effettiva capacità contributiva) è inferiore alle spese pubbliche. Bisognava (e bisogna ancor più oggi) eliminare la distanza tra uscite ed entrate. Si poteva (e si può) fare in 3 modi: recuperando l’evasione fiscale, tagliando le spese, aumentando le tasse. La scelta del modello si può discutere, ma voglio ricordare che dovrebbe essere comune l’obiettivo, cioè raggiungere il punto d’equilibrio tra entrate e uscite, che significa deficit uguale allo 0%.
Il ministro Tremonti aveva promesso (Tg1 – 11 luglio 2001) il raggiungimento della parità di bilancio (cioè deficit zero) nel 2003. Altrimenti si sarebbe dimesso. L’obiettivo è stato clamorosamente mancato, nel 2003 e in tutti gli anni successivi (nel 2010 abbiamo avuto un deficit del 4,5%), ma Tremonti è ancora ministro. E così ogni anno chiudiamo sempre il bilancio dello stato (cioè della famiglia Italia) in rosso, anche e soprattutto a causa degli interessi sul debito nel frattempo accumulato. Basti dire che negli ultimi 15 anni abbiamo pagato 1.300 miliardi di euro di interessi passivi, cifra che corrisponde ai due terzi dell’attuale debito pubblico (1.843 miliardi al 31/12/2010). Un debito che continua ad aumentare in termini assoluti e che negli ultimi anni ha ripreso a salire anche in rapporto al Pil (118,5% al 31/12/2010). Ogni bambino che nasce in Italia ha già un debito di oltre 31mila euro. Io credo che ipotecare il futuro sia un grave delitto.
La stragrande maggioranza dei cittadini italiani è stata ed è complice, se non addirittura autrice del crimine. L’attuale sistema fiscale è giunto al capolinea: urge una rivoluzione fiscale nel nome e per conto delle prossime generazioni.
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