Presentato a Roma lo sportello anti-querele
Tra i tanti modi per mettere il silenziatore alla stampa ci sono le “querele temerarie”. Ovvero, la richiesta di risarcimento danni. Cifre spropositate, assolutamente fuori dalla portata dei cronisti. Soprattutto dei collaboratori e dei free-lance, spesso costretti ad attuare forme di auto-censura, pur di evitare il tracollo economico. Cinquanta, centomila euro per aver citato il politico o l’imprenditore di turno, sono una spada di Damocle insopportabile. Per cercare di tutelare i cronisti, e in modo particolare le fasce meno protette di chi fa informazione, è stato presentato il primo Sportello anti-querele.
L’iniziativa, presentata oggi a Roma, è frutto della collaborazione tra la Federazione della stampa, l’Associazione stampa romana, Libera, Libera Informazione, Articolo 21, Ossigeno per l’informazione, l’Unione nazionale cronisti, l’Ordine nazionale e regionale dei giornalisti, Open Society Foundations. Lo sportello romano sarà operativo presso la sede dell’Assostampa romana e servirà da tramite tra il cronista minacciato e gli studi legali promotori delle azioni di tutela legale. Gratuita, naturalmente. A scendere in campo, tra gli altri, lo studio legale dell’avvocato Oreste Flamminii Minuto, e quello dell’avvocato Domenico D’Amati. Gli altri sportelli entreranno in funzione a Milano e a Napoli, con analoghe iniziative organizzate con le locali associazioni stampa.
«Le querele di diffamazione – ha sottolineato Paolo Butturini, segretario dell’Assostampa romana – sono utilizzate sia in sede penale che, sempre più negli ultimi anni, in sede civile sotto forma di citazione per danni». La richiesta di cifre spropositate: «Colpisce il singolo cronista nel suo patrimonio personale, ma anche gli editori». Questi ultimi spesso trovano spunto da situazioni del genere per limitare il diritto di cronaca. La presentazione dello sportello anti-querele è il frutto del convegno organizzato lo scorso novembre a Roma. Un momento utile per delineare le strategie di resistenza contro i bavagli che si intendono mettere all’informazione. Quali strategie? «A novembre – ha dichiarato il presidente della Fnsi Roberto Natale – abbiamo stabilito di procedere sia su un piano politico-istituzionale che su un piano sindacale». Sul primo livello l’obiettivo è la: «Modifica della normativa nazionale riguardo alla richiesta di risarcimento danni. C’è già – ha sottolineato Natale – un lavoro bipartisan depositato in Parlamento nella passata legislatura».
Si tratta della riforma Pecorella-Costa, rimasta insabbiata nelle commissioni parlamentari. Una riforma utile, che risponde alle esigenze degli operatori dell’informazione e, fatto non secondario: «A costo zero». Il secondo livello d’azione è quello sindacale che prende forma proprio negli sportelli anti-querele. «Uno strumento – ha sottolineato Lorenzo Frigerio, coordinatore di Libera Informazione – che serve ad evitare ai cronisti forme di censura o auto-censura, dettate dalle minacce del crimine organizzato e dei poteri forti». L’avvocato Oreste Flamminii Minuto, storico difensore della libertà di informazione, ha sottolineato l’importanza di un intervento legislativo sulla normativa vigente. «Vorremmo una legislazione che sia pari a quella degli Stati Uniti». Ovvero, ha sottolineato l’avvocato: «La diffamazione (per essere tale, ndr) deve contenere la volontà di ledere la reputazione altrui, deve quindi contenere un dolo specifico». L’altro elemento è che: «La condizione di procedibilità è data se la richiesta di rettifica non è pubblicata. Questi due elementi – ha aggiunto Flamminii Minuto – sono le condizioni minime per considerarci una Paese libero».
L’avvocato Domenico D’Amati, che è intervenuto in rappresentanza dell’Associazione Articolo 21, ha messo in luce degli strumenti che già oggi possono essere utilizzati per “demolire” le querele temerarie. L’abuso di processo, quando: «Si verifica che lo strumento giudiziario è utilizzato con scopi intimidatori»; e: «Gli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione». Questa, infatti: «Ha iniziato a recepire le indicazioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo, laddove questa afferma che il diritto all’integrità della reputazione, e il diritto alla riservatezza cedono di fronte alla libertà di informazione».
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