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Il Governo impugna tre leggi calabresi del pacchetto Sicurezza e Legalità

Di Anna Foti* il . Calabria

Per il momento, brutte notizie per tre leggi regionali del pacchetto sicurezza e legalità. Il Consiglio dei ministri, infatti, su proposta del ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, e su conforme parere dei competenti ministeri, ha proceduto con l’impugnazione di tre atti normativi della Regione Calabria dinnanzi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra legislazioni statale e regionale e per legittimità costituzionale degli stessi atti legislativi, con riferimento alla ripartizione tra competenza esclusiva e concorrente ex articolo 117 della Costituzione. 

Impugnate anche due leggi della Campania, relative al bilancio annuale, pluriennale e di previsione, e una del Molise sul microcredito. Sul fronte calabrese lo stesso presidente della commissione contro la ‘ndrangheta è Salvatore Magarò a dichiararsi disponibile ad accogliere i rilievi del Consiglio dei Ministri con l’intenzione di ritornare ad occuparsi, prima in Commissione e successivamente in Aula, dei singoli provvedimenti legislativi impugnati dinanzi la Corte Costituzionale, per riproporli, visto che la ratio e le finalità delle leggi in questione non sono state minimamente intaccate.

Si tratta delle leggi: “Interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di ‘ndrangheta e disposizioni in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell’imprenditoria”; “Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria” e: “Misure per garantire la legalità e la trasparenza dei finanziamenti erogati dalla Regione Calabria”.  I rilievi riguardano le disposizioni in contrasto con la Costituzione laddove sancisce la prerogativa esclusiva dello Stato, e la normativa nazionale già vigente (legge n. 575/1965 e legge 50 del 2010 e codice civile).

Andiamo nel dettaglio. “Nel prevedere interventi a sostegno alle imprese vittime di reati di ‘ndrangheta e misure di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell’imprenditoria, detta disposizioni riguardanti i contratti pubblici e ciò è prerogativa esclusiva della legge statale come disposto dal dettato costituzionale ex art. 117”.  Questo quanto si legge nella nota del Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio con riferimento all’impugnazione della legge regionale 3 del 2001, quella del pacchetto sicurezza e legalità recante “Interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di ‘ndrangheta e disposizioni in materia di contrasto alle infiltrazioni mafiose nel settore dell’imprenditoria”.

La legge in oggetto sarebbe censurabile relativamente alla norma (art. 2 comma 2) che obbligherebbe  all’inserimento nei contratti pubblici di una clausola risolutiva espressa in caso di accertamento della mancata denuncia all’Autorità giudiziaria di reati di ‘ndrangheta, di criminalità, di estorsione, di usura, ovvero contro la Pubblica Amministrazione e contro la libertà degli incanti, prevedendo che il mancato inserimento di tale clausola o la sua mancata attivazione determinino la nullità del contratto e costituiscano causa di responsabilità amministrativa e/o disciplinare. Ciò inciderebbe in materia di ‘ordinamento civile’ non attribuita alla legislazione regionale.

Altre impugnazioni, su conforme parere rispettivamente del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del   Ministero della Giustizia riguardano la legge regionale 4 del 2011 recante “Misure per garantire la legalità e la trasparenza dei finanziamenti erogati dalla Regione Calabria, che con le disposizioni in materia di tracciabilità dei flussi finanziari violerebbe la competenza esclusiva in materia di moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari nonché in materia di ordine pubblico e sicurezza, e la legge regionale 7 del 2011 recante l’Istituzione dell’Agenzia regionale per i beni confiscati alle organizzazioni criminali in Calabria”. Quest’ultima presenterebbe vari profili di illegittimità costituzionale nell’articolo 3 in cui si prevede che: “la Regione sottoponga le indicazioni per il riutilizzo dei beni confiscati in Calabria all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, attraverso protocolli d’intesa e richiedendone eventualmente l’assegnazione, e in cui si prevede altresì che l’Agenzia regionale per i beni confiscati abbia il compito di amministrare i beni eventualmente destinati alla Regione Calabria assicurandone il riutilizzo per i fini di utilità pubblica e sociale anche attraverso appositi bandi o concorsi di idee. Entrambi questi aspetti si pongono in contrasto con la normativa nazionale (legge n. 575/1965), per altro di competenza esclusiva, in base alle quali l’assegnazione diretta degli immobili in favore di un’agenzia regionale non è contemplata ed inoltre i beni immobili confiscati possono essere destinati in concessione dalle regioni, solo sulla base di apposita convenzione a comunità anche giovanili, ad enti, ad associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali, ad organizzazioni di volontariato e non in altre modalità”.

Circa le funzioni di vigilanza dell’istituenda agenzia regionale sul corretto utilizzo dei beni confiscati da parte dei soggetti assegnatari e sull’effettiva corrispondenza tra la destinazione dei beni ed il loro utilizzo e sulla collaborazione della suddetta agenzia regionale con gli appositi organismi istituzionali per prevenire il deterioramento dei beni tra la fase di sequestro e quella di confisca,  tali disposizioni si porrebbero in contrasto con altra legge nazionale, la 50/2010, che istituisce e attribuisce all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata tali forme di vigilanza, e con la normativa statale che individua espressamente quale soggetto deputato a fornire collaborazione all’autorità giudiziaria nella gestione dei beni sequestrati esclusivamente l’Agenzia nazionale.

*www.reggiotv.it

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