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Il coraggio e la mitezza

Di Agnese Moro il . L'analisi

In questi giorni ricorderemo i giornalisti uccisi perché facevano il loro lavoro (il 3 maggio, nella Giornata mondiale della libertà di stampa), e tutte le vittime del terrorismo e dello stragismo in Italia (il 9 maggio). Le ricordiamo per amore nei loro confronti, per ripensare alla storia che è appena dietro di noi, ma anche perché sappiamo che persone come Giuseppe Alfano, Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Maria Grazia Cutuli, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Anna Politkovskaja, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi e, purtroppo tanti altri, hanno qualche cosa da dirci. 
Quale è il messaggio che ci lasciano queste vite? Mi sembra che sia quello del coraggio della mitezza. La mitezza delle persone che stiamo per ricordare è stata una scelta; è stato il loro modo di vivere con coraggio, facendo la propria parte, al centro di grandissimi conflitti e di svolte epocali. Né le mafie né il terrorismo hanno colpito a caso; i loro avversari sono stati (nel caso del terrorismo) o sono (nel caso delle mafie) i costruttori di verità, di conoscenza, di coesione sociale, di democrazia. Il coraggio della mitezza è fatto del rifiuto di qualsiasi forma di violenza e anche del non considerare normale quella che giornalmente viene prodotta. Del non smettere mai di difendere quello che è giusto. Del riconoscere nell’altro la comune umanità, anche quando questi sia lontano o nemico, e del non accettare che nessuno sia considerato un mostro. Crede, invece, nel rispetto e nel riconoscimento, e nel vivere con umiltà. Il coraggio della mitezza è la strada segnata dalla nostra Costituzione; è ciò che caratterizza la nostra democrazia; il modo con cui è concepita la politica; lo spirito attorno al quale si è creata la nostra Repubblica. Cambiare le cose con la mitezza; costruire la giustizia, nel Paese e nel mondo. Con il consenso; con la collaborazione; con la condivisione.  Ed è oggi la virtù più rara e più importante da praticare.
Il tempo nel quale viviamo non ci propone la mitezza , ma il mercato e la logica che esso si porta dietro: vince il più forte, che è anche l’unico che meriti rispetto e considerazione. Ai perdenti, che sono la stragrande maggioranza dell’umanità, non viene riservata neppure la minima tenerezza sociale. E’ una gigantesca forma di violenza e di oppressione, vestita di modernità, apparentemente ragionevole e tanto convincente che a volte non ce ne accorgiamo. Finisce per sembrare normale, ad esempio, discutere se respingere o meno un barcone pieno di esseri umani che rischiano la vita. Smascherare questa nuova disumanità, nelle sue tante forme, è il compito di giornalisti coraggiosi, che usano i loro mezzi espressivi – scrittura, immagini – per portarci nel cuore della verità del mondo. I capi delle nazioni, poi, sembrano più che mai credere che la violenza, magari mirata, sia la strada per risolvere i problemi che ci affliggono. I bombardamenti in Libia; l’uccisione, voluta, di Bin Laden poche ore fa: sono i modi con cui si pensa di superare situazioni complesse. Ma chiameranno altri conflitti, altre vittime, altra incomprensione. 
Proprio nel momento in cui si affacciava, con i movimenti del Nord Africa e del Medio Oriente, qualcosa di nuovo. In realtà, l’unica strada che paga e che costruisce è proprio quella della mitezza, che crede nella forza del parlare e del parlarsi, e che ha come protagonisti l’intera umanità. Certo per essere e restare miti ci vuole coraggio, e molta libertà interiore. Penso con tenerezza e rispetto a mio padre, Aldo Moro, che non ha mai abbandonato quella strada, nella quale credeva profondamente. E ad altri, grandissimi, del ‘900 come il Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela che hanno cambiato i loro paesi e il mondo senza cedere alla tentazione della violenza. E’ strano come la loro debole voce riesca ancora ad arrivare fino a noi, incoraggiandoci ad essere anche noi coraggiosi e miti. 

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