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Torino, arrestato il boss Giorgio Demasi

Di Gaetano Liardo il . Calabria, Piemonte

Era riuscito ad evitare l’arresto lo scorso luglio, nel corso dell’operazione “Il Crimine” coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria. Giorgio Demasi, detto “U Mangianisi”, è stato arrestato dalla polizia a Torino. L’operazione è stata condotta dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e da quella di Torino. Dai primi accertamenti degli inquirenti Demasi, sottrattosi agli arresti nel luglio del 2010, si sarebbe nascosto sempre a Torino. Il boss di Gioiosa Jonica è ritenuto un esponente di rilievo di quello che i pm di Reggio Calabria hanno definito il “mandamento Jonico” della Provincia. 

Così è descritto dai magistrati nell’ordinanza “Il Crimine”: «Figura di primo piano del locale di Gioiosa Jonica, in diretto contatto con boss  del calibro di OPPEDISANO Domenico, PESCE Vincenzo e COMMISSO  Giuseppe il “mastro”
». Uno ‘ndranghetista con le giuste entrature all’interno della struttura criminale. Boss della cosca Ursino di Gioiosa Jonica, che ha lavorato a stretto contatto con il “Mastro” di Siderno. Anzi, ha fatto parte di quello che i magistrati hanno definito il “triumvirato”, messo in piedi da Giuseppe Commisso per gestire il “mandamento”. «Intorno alla figura del “Mastro” – si legge ne “Il Crimine” – ed a strettissimo contatto con questi, si muove  ed opera una sorta di “triumvirato”, composto da BRUZZESE Carmelo, DE MASI Giorgio  ed AQUINO Rocco, in rappresentanza, rispettivamente, dei locali di Grotteria, Gioiosa  Jonica e Marina di Gioiosa Jonica, evidentemente di rilevanza strategica, insieme al locale  di Siderno, all’interno del mandamento e nei rapporti con gli organismi criminali insistenti  fuori dal territorio calabrese
».

Nel nord Italia, quindi, ma anche all’estero. Realtà dove le cosche della Calabria jonica hanno sviluppato delle reti solide che le hanno rese protagoniste nel traffico internazionale di droga. Giuseppe Commisso, boss di Siderno, teneva quindi le fila del “mandamento jonico” con l’aiuto dei tre boss in rappresentanza dei locali di Grotteria, Gioiosa Jonica e Marina di Gioiosa Jonica. Il Mastro interveniva per dipanare contrasti interni ai vari locali del mandamento, problematiche relative alla Provincia e alle realtà nazionali ed internazionali. Consigliato da Bruzzese, Aquino e Demasi. Alcuni esempi, ripresi ne “Il Crimine”, rendono lo spessore criminale di Demasi.

In una conversazione intercettata presso la lavanderia “Ape Green” di Siderno, dove Il “Mastro” conduceva i suoi affari convinto di stare al sicuro da orecchie indiscrete, Demasi riporta un colloquio avuto con Vincenzo Pesce, boss di Rosarno. Demasi racconta del tentativo di conciliazione con Pesce per problemi tra Domenico Oppedisano e Giuseppe Antonio Italiano. Demasi riporta quanto gli fu riferito da Pesce: «…che ha quindici… che ha quindici  LOCALI con lui che vogliono essere raccolti, che vogliono cacciare un’altra cosa, dice  che la devono sapere pochi, pipì e papà…
». Dopo aver ascoltato lo sfogo del boss di Rosarno, Demasi ha cercato di farlo ragionare: «…VINCENZO se non è d’accordo la  PROVINCIA che cosa potete fare gli ho detto io… se non è riconosciuta, che cacciate». Aggiungendo: «Queste non sono parole ragionate VINCENZO, noi dobbiamo stare tutti uniti… anzi se  c’è qualche rancore tra MICO OPPEDISANO, gli ho detto io… e PEPPEANTONI  ITALIANO è giusto che si chiariscono… gli ho detto io
». Il boss di Gioiosa ha cercato di fare il paciere in uno scontro tra figure criminali di primissimo livello, per di più di locali forti e strutturati, come quello di Rosarno.

Demasi ha anche più volte partecipato ad incontri importanti con i rappresentanti delle ‘ndrine canadesi. E’ stato intercettato dagli inquirenti mentre incontrava, in più di una occasione, Vincenzo Tavernese, appartenente alla commissione di Toronto. Incontri e rapporti di primo livello che rendono importante l’arresto di oggi. Tuttavia, restano degli interrogativi. Demasi, infatti, ha passato tutta la latitanza a Torino, a dimostrazione della fitta rete di coperture che i boss calabresi sono riusciti a realizzare in Piemonte. Una regione dove riescono a muoversi con disinvoltura, organizzando una latitanza lunga quasi un anno. Un chiaro segnale della permeabilità del Nord Italia alla penetrazione delle mafie. Non più infiltrazione, ma di fatto radicamento.

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