Chi è Francesco Campana
Tutt’altro che uno sprovveduto Francesco Campana, un boss che non utilizzava solo l’arma della violenza. Guidava il suo clan tra letture di latino e studi di sociologia. «Dobbiamo conoscere e valutare attentamente l’ avversario», ha affermato il procuratore Cataldo Motta, facendo riferimento a due episodi che ci consegnano l’immagine di un boss diverso da come lo si potrebbe immaginare. Entrambi i fatti sono riconducibili al periodo in cui Campana era in carcere in regime di 41 bis. Tutta la sua corrispondenza sia in entrata che in uscita veniva minuziosamente controllata. Fu così che gli investigatori focalizzarono la loro attenzione su due lettere indirizzate al fondatore della Scu Pino Rogoli. Nel primo messaggio Campana menziona il “De Beneficiis” di Seneca, prima in latino e poi in italiano, nel tratto in cui si parla di “beni dei quali si è solo amministratori” che devono “passare ad altri padroni”.
Secondo gli inquirenti, con quella frase, Campana voleva probabilmente dire che i profitti delle attività illegali non appartenevano esclusivamente ai capi, ma dovevano essere ridistribuiti. Fu per questo che la missiva venne bloccata e mai recapitata al suo destinatario. Stessa fine toccata ad un’altra lettera, sempre indirizzata a Rogoli, nella quale il Campana fa riferimento al “Carpe Diem” di Orazio Flacco. Anche in questo caso gli investigatori erano convinti che vi sarebbe un messaggio occulto diretto al boss.
Una figura originale, quella di Francesco Campana, che nel periodo di reclusione si era dedicato anche agli studi universitari, sociologia per l’esattezza. Appassionato anche di fiction televisive, agli agenti che lo scortavano e ai dirigenti e investigatori che hanno scambiato con lui qualche parola, ha raccontato di aver guardato in tv l’episodio della serie “Squadra antimafia 3” trasmesso da Canale 5. Con gli uomini della polizia si è lasciato andare pure a qualche commento sulla trama della puntata. A proposito di personaggi televisivi il boss mesagnese sembra anche bearsi della somiglianza con Guido Caprino, interprete del commissario Manara.
Ma l’immagine di un boss colto e moderno contrasta con quella che il 38enne si è costruito in tanti anni di militanza nella Scu. A suo carico ci sono, infatti, tre diverse condanne per associazione mafiosa, di cui una definitiva, equivalente a nove anni di carcere. Su di lui grava anche il sospetto che sia l’esecutore materiale di un attentato compiuto il 1° luglio dello scorso anno, ai danni di un muratore di Cellino San Marco, Vincenzo Greco. A compiere l’agguato furono in due, a bordo di una moto di grossa cilindrata: gli inquirenti ipotizzarono che a sparare fu proprio Francesco Campana, mentre il fratello Sandro era alla guida.
A tal proposito il questore Vincenzo Carella è molto cauto: «Stiamo anche valutando le responsabilità in relazione ad altri fatti». Il Campana si era schierato dalla parte dei boss storici, a dispetto delle sue origini mesagnesi, in chiara contrapposizione con la nuova frangia della Scu guidata da Pasimeni e compagni. La gerarchia della mafia salentina l’aveva tracciata un’operazione della polizia compiuta alla fine dello scorso anno: ventidue richieste d’arresto, e tra queste anche quella riguardante Campana già latitante da sette mesi. L’ arresto del boss mesagnese rappresenta un duro colpo all’organizzazione, ma allo stesso tempo dà il via alla corsa alla successione. Ci vorrà tempo e ulteriori indagini per scoprire chi succederà a Campana e agli altri boss ormai in carcere.
Trackback dal tuo sito.