In memoria di Vittorio Arrigoni
La notizia della morte di Vittorio Arrigoni mi ha addolorato profondamente, come ha addolorato tanti di noi. Ma proprio questo dolore profondo mi ha anche costretto a riflettere su me stessa e sulle mie/nostre responsabilità.
Quella di Vik’ è in effetti una doppia morte. La morte di una persona eccezionale, una ‘bella persona’ che aveva dedicato la sua vita a testimoniare il dramma di quella piccola striscia di terra rimossa dalla coscienza generale, spesso anche dalla coscienza di noi pacifisti; e che, nello stesso tempo, stava attuando in prima persona quella interposizione a difesa dei civili, che dovrebbe essere il primo compito di un organismo complesso come le Nazioni Unite. Potremmo definirlo un missionario laico nel senso più alto e vero del termine.
Ma, la sua, è anche la morte di un’illusione, che fino a quel drammatico giovedì, ci consentiva di alleggerirci la coscienza: che un uomo da solo potesse caricarsi della responsabilità di essere sui luoghi della sofferenza, responsabilità che invece, spetta a tutti noi. La sua morte, per questo, ricade sulle coscienze di tutti, e deve farci sentire corresponsabili di quanto accaduto. Vittorio è morto perchè è stato lasciato solo. Non certo dai suoi compagni e amici che, a Gaza come in Italia, hanno sempre lavorato per rilanciare il suo impegno e lo hanno condiviso. Ma ugualmente Vittorio è stato lasciato solo, anche da tanti di noi pacifisti, e ancora di più da tanti di noi, che lavoriamo nell’informazione, e che sapevamo. Non abbiamo fatto abbastanza, anzi, non abbiamo fatto quasi nulla per riprendere e rilanciare le notizie agghiaccianti che postava quasi quotidianamente, ma anche per denunciare le continue sistematiche minacce che Vittorio riceveva da anni e che si erano intensificate negli ultimi tempi: minacce di ritorsioni, di censura, di inviare infiltrati, calunnie di ogni genere, fino a vere minacce di morte.
Scrivo questo, facendomene carico in prima persona, perchè ritengo che la responsabilità maggiore sia proprio di chi, come me, lavora nei cosiddetti media ufficiali, e sapeva cosa accade a Gaza e come Vittorio e i suoi compagni dell’International Solidarity Movement facevano da scudi umani accanto a pescatori e contadini per cercare di proteggerli dalle mitragliate israeliane e consentire loro di portare a casa qualcosa da mangiare. Di chi ha condiviso i suoi post su facebook, ogni volta indignandosi e meravigliandosi della sua capacità di raccontare la morte e la violenza senza perdere la sua umanità, raccontando l’essere umano prima di tutto.
Non abbiamo fatto abbastanza proprio in quanto giornalisti. Quello che Vik ha raccontato prima, durante, e dopo “Piombo fuso” avrebbe meritato ben altro spazio sulle nostre prime pagine e nei nostri titoli rispetto agli angusti trafiletti o alle notiziole lette frettolosamente che, raramente, sempre più raramente, siamo riusciti a conquistargli. Da qualche tempo, nelle nostre redazioni, si sbatte sempre più di frequente di fronte a un muro di gomma di indifferenza e di sospetto per chi si permette di raccontare gli effetti collaterali delle “giuste” risposte di Israele ai continui (e certo condannabili) lanci di missili, spesso privi di effetti. Per non parlare della larvata accusa che, in fondo, quelle notizie sono diffuse ad arte da Hamas, cioè dai terroristi.
Ma noi abbiamo insisitito davvero? E anche ora, dopo averlo visto morto, tornare a casa avvolto nella bandiera palestinese, inistiamo davvero? O abbiamo per primi sottovalutato la centralità di quanto succede nella Striscia, cedendo ai ritmi redazionali, all’urgenza di inseguire un’improbabile audience autoreferenziale, di trovare spazi crescenti per l’ennesimo processo al potente o per l’esternazione dell’ultimo minuto, lanciata proprio per ottenere sempre più attenzione?
Anche la notizia della sua morte e’ scivolata rapidamente in ultima fila, una disattenzione a cui ha fatto seguito il saluto distratto e casuale, inviato a debita distanza dai rappresentanti delle Istituzioni, la loro assenza all’arrivo della salma di Vittorio a Fiumicino (mentre erano presenti ben quattro rappresentanti del presidente dell’ANP Abu Mazen). Gli stessi che si precipitano a ricevere i caduti sui tanti fronti di guerra su cui è impegnata l’Italia, nonostante l’articolo 11 della Costituzione. Quello che resta è il dolore per Vittorio, a cui non c’è rimedio, ma anche la consapevolezza che non si possa continuare così. Non possiamo più far finta di non vedere, e se non c’è più Vittorio con il suo blog GuerrigliaRadio a rammentarcelo, dobbiamo tutti noi,” professionisti’ dell’informazione ma anche semplici cittadini convinti dell’inviolabilità della persona, farci carico almeno di una parte della missione fatta propria da Vittorio. Lui che giornalista, almeno nel senso più ufficiale del termine, non era, ha saputo darci una grande lezione di giornalismo: verificare sul posto, cercare di capire, denunciare da vero “watchdog” dei diritti umani, anche finendo per essere partigiano, in questo caso dalla parte della gente semplice di Gaza. E disposto a pagare con la vita questo suo limpido impegno. Perchè di Vittorio si può ben dire: così muore un uomo rimasto umano fino all’ultimo.
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