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Si vuole umiliare e mortificare i magistrati

Di Gian Carlo Caselli il . L'analisi

Se magistrati troppo indipendenti danno fastidio, se troppi controlli danno l’orticaria è legittimo che vi siano forze politiche che cerchino di porre un freno a queste “oscenità”. Basta dirlo chiaramente e si discute. E’ disonesto invece giocare con le parole. Come accade quando si  parla di riforma della giustizia  mentre si tratta di ben altro. E’ il caso del progetto di riforma costituzionale del governo Berlusconi, definito riforma della giustizia ma che con la giustizia non c’entra un bel niente. Per riformare la giustizia occorrono più risorse e procedure più snelle, in modo da rendere più efficiente il sistema e più brevi i processi. Su questo versante il progetto governativo lascia le cose esattamente come sono: un disastro.

Il suo obiettivo è un altro: umiliare e mortificare la magistratura; ridurne l’autonomia e l’indipendenza; restringerne gli spazi d’intervento. In modo da eliminare o circoscrivere il rischio che anche i potenti debbano rispondere delle violazioni di legge commesse. La “spia” dei veri obiettivi della riforma si può trovare nel fatto che le novità riguardano tutte articoli della Costituzione contenuti nel titolo 4° della parte II. Questo titolo, che oggi è denominato “La magistratura”, nella riforma diventa “La giustizia”. Come volevasi dimostrare: si tratta di riformare i magistrati, non la giustizia. E non basta cambiare l’etichetta della bottiglia per trasformare in aceto il vino.

Del resto, per convincersi che i reali obiettivi della riforma sono di un certo tipo, basterebbe considerare che in cabina di regia c’è un signore che i magistrati li odia e li insulta, che i processi ha sempre cercato di scansarli con leggi “ad personam”, che  rifiuta di sottostare alle regole perché pensa di non essere un comune mortale. Grottesco: come se la riforma del catechismo fosse affidata ad un miscredente mangiapreti. E tuttavia (anche se è praticamente impossibile) proviamo a prescindere dai propositi del nostro premier, che sono chiaramente punitivi, di vendetta e regolamento di conti verso una magistratura che non vuol saperne di baciargli le mani come usa con Gheddafi. Proviamo a ragionare soltanto sugli effetti oggettivi della riforma.

Prendiamo singolarmente – una per una – le modifiche in programma (Csm; separazione delle carriere; poteri ispettivi del ministro; responsabilità dei magistrati; non appellabilità delle condanne di primo grado; obbligatorietà dell’azione penale; rapporti fra Pm e polizia giudiziaria); – oppure prendiamo in considerazione l’intero pacchetto delle modifiche. Sempre avremo come risultato che la sedicente riforma della giustizia punta univocamente al risultato di trasferire il rubinetto delle indagini (cioè dei controlli di legalità) dalle mani della magistratura a quelle del potere politico, governo e/o parlamento. Lo si può dimostrare per ogni singolo punto della riforma. Per brevità prendiamone soltanto due, gli ultimi dell’elenco appena fatto. Secondo la riforma, l’azione penale resta obbligatoria, ma dovrà essere esercitata in base ai  criteri stabiliti per legge, vale a dire dalla politica. Sempre secondo la riforma, la polizia giudiziaria cessa di dipendere dal Pm, il che significa che prenderà ordini esclusivamente dal governo. In altre parole, con la riforma sarà la politica a stabilire che cosa, chi e come indagare.

Sarà la politica ad aprire o chiudere il rubinetto delle indagini e a regolarne l’intensità. Ora, se avessimo a che fare con politici capaci di dimettersi sol perché scoperti a copiare una tesi di laurea, allora potremmo anche discutere sull’opportunità o meno della pseudo-riforma. Ma il nostro, sotto questo profilo, è un Paese fuori degli standard delle democrazie occidentali. Il nostro è un Paese caratterizzato da un fortissimo tasso di illegalità che comprende una spaventosa corruzione, collusioni e complicità con la mafia assai diffuse, gravi fatti di mala amministrazione e fenomeni assortiti di malaffare, con pezzi consistenti di politica  quasi sempre coinvolti in tali vicende.

Consentire alla politica di pilotare la magistratura sarebbe micidiale: per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e per la  stessa credibilità della nostra democrazia. Sarebbe come affidare alle volpi la custodia del pollaio! La politica, in Italia, tende costantemente ad auto-assolversi, ad esempio minimizzando il gravissimo cancro della corruzione sistemica riducendolo ad isolate performance di “mariuoli” o “sfigati” di poco conto. E non è un caso che il premier Berlusconi abbia detto, candido candido, che con la sua  riforma “Mani pulite” non ci sarebbe mai stata. Serve altro per convincersi dove vuole andare a parare la riforma ”epocale”?

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