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La pax mafiosa nella città dello Stretto

Di Gaetano Liardo il . Calabria

A Reggio Calabria comandano i De Stefano, i Tegano e i Condello. Fanno affari tra loro, hanno trovato un punto di equilibrio. Si arricchiscono e non si sparano più gli uni contro gli altri, anche se, come è naturale nel mondo mafioso, esiste sempre una rivalità tra le varie cosche. E’ questa l’immagine della geografia della ‘ndrangheta a Reggio Calabria. La scorsa settimana il pm Giuseppe Lombardo ha notificato agli indagati l’avviso della conclusione delle indagini dall’operazione “Meta” del giugno dello scorso anno. Indagini arricchite dal prezioso contributo di alcuni, importanti, collaboratori di giustizia. Roberto Moio, Antonino Lo Giudice e Consolato Villani.

Moio è il nipote di Giovanni Tegano, capo-cosca della famiglia Tegano, arrestato dai carabinieri del Ros proprio grazie alle indicazioni fornite dal nipote. Antonino Lo Giudice, capo dell’omonima famiglia, si è autoaccusato degli attentati contro la Procura generale di Reggio Calabria del 3 gennaio del 2010, fornendo agli inquirenti elementi utili per decifrare la strategia stragista delle ‘ndrine. Consolato Villani, infine, è stato affiliato alla cosca Lo Giudice. Dalle dichiarazioni dei tre collaboratori, gestite nella Procura antimafia reggina da Giuseppe Lombardo, è stato possibile ricostruire i rapporti di forza tra le varie famiglie di ‘ndrangheta.

«I De Stefano hanno sempre comandato a Reggio Calabria», risulta dalle dichiarazioni di Moio. Dopo di loro, dalle dichiarazioni del collaboratore ci sono i: «Libri, Serraino, Tegano, và…Condello». Potenti famiglie criminali che, deposte le armi dopo la lunga faida che ha insanguinato Reggio tra gli anni ’80 e ‘i primi anni ’90, hanno trovato i giusti equilibri per fare affari senza combattersi tra loro. Una pax mafiosa che ha consentito alle ‘ndrine di arricchirsi. Scrivono i magistrati della Direzione nazionale antimafia che la ‘ndrangheta può essere definita una: «Presenza istituzionale strutturale nella società calabrese,  interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner  necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto  l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale
».

Una forza oscura e opprimente che soffoca la società, l’economia e la politica calabrese. Nella città di Reggio Calabria, uno dei tre “mandamenti” della ‘ndrangheta reggina assieme alla “Jonica” e alla “Tirrenica”, operano quelle che dalla Procura reggina sono definite le famiglie storiche della borghesia mafiosa. Cioè: «Quelle “famiglie”- si legge nella relazione della Dna –  ormai  facenti parte con i loro rappresentanti, anche di seconda e terza generazione,  della borghesia, così da potersi parlare di vere proprie “dinastie mafiose”, che  mirano a consolidarsi sempre più come naturale sviluppo e logica evoluzione  dei precedenti modelli “paramilitari”, largamente seguiti negli anni ’80-’90
». Queste famiglie a Reggio, così come succede in tutta la provincia, si sono dotate di una sorta di struttura di comando. Una “cabina di regia” per la gestione unitaria degli affari, per evitare scontri tra le varie cosche. Per massimizzare i profitti, minimizzando i costi. Questa struttura a Reggio Calabria sarebbe stata affidata a Giuseppe De Stefano, fino all’arresto avvenuto nel 2008.

Dinamiche ancora non del tutto chiare quelle in atto nel mondo criminale calabrese. Tuttavia, grazie all’impegno di magistrati e forze dell’ordine, è possibile delineare in parte la potenza della ‘ndrangheta e la vasta zona grigia di collusioni e protezione. Quel mondo oscuro che soffoca Reggio Calabria e l’intera regione. 

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