La guerra
Siamo in guerra. Lo ripetono nei bar e negli autobus. Siamo in guerra. E lo diciamo senza sapere esattamente che cosa significhi realmente essere in guerra. Le bombe, le sirene, i morti e i feriti. La paura. Gente tra due fuochi. Quello del dittatore e quello della coalizione dei volenterosi. Come sempre nobile. Come sempre inevitabile e liberatrice. Umanitaria e doverosa. La guerra noi la vediamo solo in televisione. La guerra a due passi da noi. E non ci importa del Barhein e dello Yemen, come mai ci è importato del Darfur e del Congo.
Perché c’è crisi e crisi. Alcune ci importano di più. Profumano di petrolio. Difendere la popolazione civile. Senza sapere come andrà a finire. Non si può fare il tifo come nello stadio. Ma davvero non si poteva fare altro? Non si poteva fare diversamente? Non eravamo noi italiani i più amici del dittatore? Non avevamo strumenti e parola e politica e diplomazia da adoperare per ridurre a ragione il “fanatico”? Prima si spara e poi si discute. Come nei film di Sergio Leone. E quanto durerà? Quando finirà? Se ne parla nei bar e negli autobus. Ma al governo insistono che non si deve chiamare guerra.
Bah!
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