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Processo Rostagno, i verbali rimasti sepolti

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Dove eravamo rimasti? Eravamo rimasti alle deposizioni che hanno
suscitato più di qualche perplessità dei carabinieri che in quel
settembre del 1988 si occuparono delle indagini sul delitto di Mauro Rostagno.
E sui carabinieri che in quel periodo hanno ammesso che avevano
frequentazioni con lo stesso Rostagno, quei rapporti che possono
instaurarsi tra giornalisti, quale era diventato Mauro Rostagno, dopo
avere fatto un turbine di altre cose, che hanno riempito la sua vita mai
senza significati, e le cosidette “fonti”, investigatori in questo
caso, specificatamente carabinieri e ancora più per essere specifici con
l’allora brigadiere oggi luogotenente dell’Arma, Beniamino Cannas. E se
l’allora comandante del nucleo operativo provinciale dei carabinieri di
Trapani, generale, in pensione, Nazareno Montanti senza tanti come e
perché ha detto che per il delitto si è imboccata (da parte dell’Arma)
una sola pista, quella del delitto maturato come “vendetta” per vicende
interne alla comunità Saman – ha detto di avere escluso la pista mafiosa
perché non sono emersi mai elementi in tal senso, e figurarsi allora a
dire che non c’era la mafia a Trapani era anche il capo della Procura
dell’epoca, Antonino Coci – il luogotenente Cannas pare abbia avuto
gravi vuoti di memoria. Ha ricordato gli incontri con Rostagno come se
fossero casuali, incontri per strada, quasi sempre conclusi con la
ripromessa da parte di Rostagno di andarlo a trovare in ufficio. 

E
Rostagno in ufficio, dai carabinieri, ci andò, ma non per una visita di
cortesia, ma per essere sentito con tanto di verbale sottoscritto. E
dovette andare anche in Tribunale. Davanti al giudice istruttore.
Possibile che di tutto questo i carabinieri non abbiano più memoria?
A ricostruire buona parte di questa vicenda è stato lo scrittore
Salvatore Mugno nel libro “Mauro è vivo”. Da cosa partiamo? Cominciamo
da un editoriale di Rostagno fatto in tv a Rtc il 22 febbraio del 1988.
Sono i giorni a Trapani dell’esplosione del caso Iside 2, della loggia
massonica coperta, e deviata, trovata dalla Squadra Mobile dietro il
paravento di un centro culturale, il centro Scontrino, a muoverne le
fila un professore di filosofia, Gianni Grimaudo, un agente di viaggio,
Natale Torregrossa, e poi una serie di personaggi. Gli elenchi trovati
erano pieni di nomi “pesanti”, politici, burocrati, dirigenti di banca e
di prefettura, “questurini”, e con loro mafiosi. L’intervento in tv
fatto da Rostagno suscita qualche imbarazzo in chi lo conosce perché
sorprendentemente (per questi che si dichiaravano malamente sorpresi,
uscì anche un articolo di critica su L’Espresso) Rostagno non segue la
scia dello scandalo e invita i giornalisti alla prudenza a lasciare
svolgere i processi nell’aula di giustizia. Paradossalmente proprio lui
che non poteva sapere certo che la giustizia per il suo omicidio avrebbe
cominciato a muovere i giusti passi 23 anni dopo e proprio grazie al
“processo” sociale mosso contro la mafia e i possibili autori del
delitto rimasti tanto tempo “salvaguardati” non si sa ancora né perché
né per come. Ma questo è un altro discorso.

Quel 22
febbraio 1988

L’editoriale di Rostagno. Lui riprende le notizie di
stampa e dice che queste non trovano del tutto riferimento negli atti
giudiziari, e che tutto questo, compresa una intervista fatta da un tv
concorrente a Rtc a un personaggio che non si mostrava in viso, secondo
Rostagno faceva danno alla verità che andava cercata su quegli
accadimenti e su cosa avveniva dentro quella loggia coperta. Col senno
di poi certo le parole di Mauro risultano infondate, il circolo
Scontrino era una pentola che ribolliva di malaffare e intrecci e
probabilmente l’alto grado di influenza saputo esercitare non solo tenne
per 10 anni il processo fermo, ma infine fu un processo contro quattro
gatti. La parte importante che scrive Rostagno è invece attuale, è
rivolta ai giornalisti, e sembra fatta apposta per i tempi nostri:
parlando degli estensori degli articoli sullo scandalo della massoneria
trapanese (dove probabilmente fu usata qualche fonte che doveva semmai
finire imputata in Tribunale) Rostagno dice, “hanno creato una notte
buia dove tutti i gatti sono neri…lasciamo che i  giudici
inquisiscano…lasciamo che i giudici accertino”. Tre giorni dopo per questo editoriale Rostagno fu sentito dai
carabinieri del nucleo operativo, sentito a “sommarie informazioni”, a
firmare quel verbale con Rostagno è proprio il brigadiere Cannas. I
carabinieri chiedono notizie sul suo editoriale del 22 febbraio. E così
Rostagno racconta, i contatti con esponenti di quelle logge, “volevo
capire e conoscere i fatti”, per chiedere incontri, prima negati e poi
concessi, fatti alla presenza di un avvocato vicino alla loggia, William
Sandoz. C’è però un passaggio in questo verbale che non si capisce da
dove consegue e però apre uno scenario, uno di quelli rimasti in sospeso
nelle indagini sul delitto. Rostagno ad un certo punto dice che dal
colloquio avuto con gli esponenti di quella loggia, questi soggetti
(Torregrossa e Sandoz) questi non solo escludevano le interferenza del
gran maestro Licio Gelli e della sua P2 nella loggia trapanese ma
escludevano qualsiasi coinvolgimento “nel traffico di armi e droga ed i
servizi segreti stranieri”. Da dove veniva questa affermazione. Nel
verbale non si trova riferimento, ma Rostagno ne parla. Rostagno non
sembra essersi disinteressato alle vicende della loggia del circolo
Scontrino, tutt’altro perché ai carabinieri dimostra di saperne più di
quello che aveva detto in quel suo editoriale, e cioè che Gelli in
effetti i massoni trapanesi lo avevano incontrato, che Grimaudo era
stato presso l’ambasciata  bulgara di Roma, che addirittura in casa del
boss mafioso mazarese Mariano Agate si era tenuta una riunione tra
massoni e mafiosi di alto rango. Rostagno per la verità in
quell’occasione dice di non sapere bene specificare se la riunione si
tenne a casa di Agate o in quella di un altro boss, il campobellese
Natale L’Ala, il boss ucciso dopo un paio tentativi andati a vuoto per
una faida dentro Cosa nostra, un boss che ottenne dalla prefettura una
patente che non poteva avere. Grazie alle raccomandazioni della
massoneria segreta della Iside 2. Rostagno non svela la fonte, ma
all’orecchio di qualcuno (tanto per restare in argomento massoneria)
quella fonte potrebbe essere stato un politico, uno di quelli, come
l’on. Canino che aveva visto la sua campagna elettorale e ancora quella
successiva alla sua prima elezione, messa in difficoltà da ingerenze
mafiose, che anni dopo sarebbero emerse platealmente e in
quell’occasione a favore di altro candidato (si fece il nome di Pino
Giammarinaro nel 1991 eletto all’Ars con oltre 50 mila voti) lui che poi
è finito sotto processo per mafia (processo sospeso) perché con una
parte di quella mafia avrebbe fatto accordi. Lo spaccato è clamoroso: la
mafia in quegli anni si sarebbe divisa seguendo la politica, in
correnti se si seguiva il filone democristiano, o ancora dirottando i
voti verso un solo partito, il Psi di Craxi. Cosa nostra non da ora e
non solo dal 1994, epoca dell’avvento in politica di Berlusconi, è stata
sempre impegnata a cercare referenti politici. Ma anche questa è
un’altra storia.

Torniamo ancora agli interrogatori di Rostagno che sembrano caduti nel
dimenticatoio. Dopo essere stato sentito dai carabinieri e da Cannas,
sperando che questi ritrovi la memoria,. Il 23 marzo del 1988 Mauro
Rostagno viene sentito dal giudice istruttore Trovato e dal pm Franco
Messina. Oggetto ancora un editoriale, del 15 marzo precedente. Gli
argomenti toccati da Rostagno si fanno ancora più delicati si parla di
appalti pubblici, della costruzione di case popolari, dell’aeroporto,
della presenza a Trapani di grossi gruppi imprenditoriali catanesi, i
Costanzo, i Rendo, i Graci, soci della recogra l’impresa che costruirà
l’aeroporto Vincenzo Florio, 10 miliardi stanziati negli anni ‘80. A
vigilare sul cantiere sono i fratelli Minore, capi mafia di Trapani. E
sapete di chi parla Rostagno in quell’editoriale, di Ciccio Pace, il
personaggio riconosciuto capo mafia di Trapani nel 2001, di lui Rostagno
dice è imprenditore grazie ai mafiosi. Rostagno forse non lo sa ma va
muovendosi attorno alla galassia mafiosa che circonda il boss Mariano
Agate, quello che gli mandò a dire di non dire minchiate sul suo conto
stando dietro la gabbia degli imputati durante il processo per
l’uccisione del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Il nome di Ciccio
Pace Rostagno lo pronunzia dieverse volte e lo collega allo scandalo
dell’epoca relativo alla Cassa Rurale Ericina, fondi neri e fatture
false, complici proprio i cavalieri del lavoro di Catania, Rendo, Graci e
Costanzo, 7 miliardi di vecchie lire spese a pagare tangenti, pizzo,
campagne elettorali, nel frattempo i lavori all’aeroporto sono finiti ma
di fatto è stata creata una struttura che quando piove si allaga per
esempio, ma ciò non di meno fu inaugurato nel 1982 da Bettino Craxi.

L’editoriale si conclude citando la massoneria dello scontrino gli
intrecci tra personaggi della loggia e l’aeroporto. Vicende che
emergeranno anni dopo in altri processi, come quello contro il senatore a
vita Giulio Andreotti che sarebbe atterrato a Trapani riuscendo a non
essere mai visto. Nella stessa data altro servizio di approfondimento a
Rtc, a parlare della mafia catanese, di mafia ed impresa,  degli
esattori Salvo, di Tano Badalamenti e del sequestro Corleo,
dell’alleanza potente tra gli Agate e i mafiosi di Corleone capeggiati
da Totò Riina. Conclusione di Rostagno, la mafia trapanese non è una
mafia provinciale, ma che è capace di comandare a livello regionale. Era
il 1988 era l’unico a dire queste cose, che salteranno fuori
ufficialmente negli atti giudiziari dei tempi odierni. Ci sono voluti
anche in questo caso 20 e passa anni. Rostagno dopo questo intervento
televisivo viene sentito a Palazzo di Giustizia, chiamato ancora a
parlare delle sue conoscenze sulla massoneria segreta.

Vogliamo continuare a dire che Rostagno in tv si occupava di bazzecole? O
vogliamo ricordare (ce lo dice Chicca Roveri, la sua compagna) che in
quel periodo del 1988 cominciarono a giungere a Rostagno lettere anonime
e minacce? Un caso tutto questo? Certo i nomi che faceva all’epoca
all’opinione pubblica non dicevano nulla, ma è un caso che parlò di
Ciccio Pace destinato a diventare per ordine di Matteo Messina Denaro
nel 2001 il capo mafia di Trapani? Lui aveva inquadrato il personaggio
di Pace, qualcuno ancora oggi si ostina a non credere allo spessore
mafioso di cui gode il soggetto, condannato a quasi 20 anni di carcere,
quello che intercettato andava dicendo che doveva far trasferire
prefetti, questori e dirigenti della Mobile.
Non ci sono elementi nel delitto Rostagno che portano alla mafia? Più si
scava nei faldoni processuali e più elementi si trovano, scritti e
conservati. Noi li stiamo rileggendo, speriamo che lo facciano anche
magistrati e giudici, e anche chi sostiene che Cosa nostra non c’entra
nulla. La mafia c’entra nel delitto e c’entra con tutte le sue
connessioni e intrecci con la politica, la massoneria e i servizi
segreti deviati o non deviati, italiani o stranieri che siano. E
l’impressione è quella che Rostagno queste commistioni le aveva non solo
percepite, ma conosciute direttamente, e aspettava il momento giusto
per raccontarle, avendo le carte, non volendo fare un polverone, come
contestava che facevano altri giornalisti, aggiungo sommessamente io,
oggi come ieri.

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