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Libia-Italia. Cent’anni di progresso

Di Stefano Lamorgese il . Internazionale, L'analisi

Nell’anno del tormentatissimo 150mo anniversario dell’unità d’Italia, ecco che la Libia esplode. La stessa Libia che fu oggetto dell’impresa coloniale voluta dall’Italia giolittiana esattamente cento anni fa. Non si tratta soltanto di un pretesto: di nuovo tuonano i cannoni alle spalle della Sirte, il sangue macchia le strade di Tripoli e di Bengasi e un autarca, tanto bizzarro quanto crudele – Muammar Gheddafi, incita ancora una volta alla guerra, in difesa del suo potere. Tutto il NordAfrica è esploso, in realtà. Il 2011 ha solo due mesi, eppure, potenza delle metafore, verrà comunque ricordato come l’anno della “primavera araba”: ha cambiato padrone l’Egitto del faraone Mubarak; la Tunisia di BenAli ha ottenuto a gran voce la fine del suo governo; l’Algeria – all’ombra della paura del Fronte islamico – si muove a scatti verso la modernità spintavi – con rigurgito atavico – dal prezzo inaudito dell’olio e del pane. E ora, appunto, la Libia, quella che Gaetano Salvemini, fiero avversario dell’intervento militare italiano nel 1911, definì come un inutile “scatolone di sabbia”.

Tra le tante suggestioni di questi giorni convulsi, una appare più interessante delle altre: il rapporto tra le tecnologie applicate e i sommovimenti dei popoli e delle civiltà in cerca di nuovi orizzonti.  Si è parlato a lungo – e molto se ne parlerà in futuro – dell’influenza dei social network e di Internet sulle rivoluzioni che stanno cambiando la geopolitica del Nordafrica. I giovani egiziani, tunisini e algerini – lo hanno dimostrato i fatti – sono connessi da anni al pianeta attraverso le tecnologie telematiche: con la rete si sono informati, con la rete e i cellulari si sono organizzati, con la rete vogliono decidere il proprio futuro. Valga, per tutti, l’esempio del blogger Slim Amamou, 33 anni, passato dalla semiclandestinità alla poltrona di  sottosegretario alle politiche giovanili nel nuovo governo tunisino.

Così come, oggi, la postmodernità ha fatto un’ulteriore irruzione nella storia attraverso la partecipazione sociale e politica dei giovani della Rete, anche cento anni fa furono alcune novità tecnologiche a cambiare il volto della guerra. Nonostante il Benigni patriottico sanremese, non è una medaglia, né un titolo di cui andar fieri: di certo non molti sanno che fu l’Italia ad applicare nel campo bellico, per la prima volta su larga scala, le tecnologie che – ora possiamo dirlo – hanno fatto il Novecento e che, mutatis mutandis, sembrano voler lasciare un segno anche sul XXI secolo.

Le truppe italiane spedite in Libia un secolo fa sotto il comando del Generale Caneva portarono con sé, insieme ai cannoni, anche due oggetti insoliti. Il primo fu l’automobile: la “Fiat Tipo 2”, fu la prima auto a essere utilizzata regolarmente da un esercito in guerra. E poi, la vera novità: il telegrafo. Sì, è così: stazioni di radiotelegrafia appositamente progettate e realizzate per l’impiego bellico arrivarono con il contingente militare italiano sulle coste libiche, e svolsero – non era mai successo prima – l’indispensabile funzione di collegamento a distanza tra i diversi comandi dislocati sul terreno. Persino Guglielmo Marconi, l’inventore della radio, partecipò a quella sperimentazione per testare l’efficacia della sua “creatura”. Il Tenente Luigi Sacco – geniaccio del Genio che comandava il servizio di radiotelgrafia – divenne in seguito un esperto di fama mondiale nel campo della crittografia.

Da Marconi a Internet il passo è stato senz’altro lunghissimo; e per passare dai manuali tecnici del tenete Sacco ai cablo di Wikileaks abbiamo atteso cent’anni. La guerra – nonostante il tempo che è trascorso – offre invece, ancora una volta, il medesimo volto: quello dell’oppressione e della violenza, della paura e della morte.

Se è vero che “da tempo e mare”, come dice il poeta, “non si impara niente”, alcune coincidenze, benché non in grado di insegnare granché, almeno indicano qualcosa. Qualcosa di importante e di contraddittorio che coinvolge l’idea stessa di “progresso” e che dovremmo sforzarci di capire quanto prima possibile.

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