La casa di Adele per madri detenute
Quando pensi che ormai non c’è più nulla da fare, quando viene approvato nel decreto sicurezza anche l’articolo 12 che modifica gli articoli 146 e 147 c.p. rendendo facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio dell’esecuzione della pena per le condannate incinte o madri di figli di età inferiore ad un anno, arriva del tutto inaspettata la notizia che aspettavamo da anni.
A Quarto, in provincia di Napoli viene inaugurata “La casa di Adele”, una villa confiscata alla criminalità organizzata, che ospiterà madri detenute con figli fino a 6 anni.
Nasce così in Campania, dopo Lazio e Lombardia, la terza casa famiglia protetta per detenute madri in Italia come prevede l’attuale legge 62 del 2011 che istituì gli ICAM in Italia, istituti a custodia cautelare attenuata per detenute madri e le case famiglia protette.
Adesso anche in Campania un giudice potrà decidere se una donna con bambini molto piccoli, fino a 6 anni di età, dovrà scontare la sua pena nell’Icam di Lauro, in provincia di Avellino, o nella casa famiglia protetta a Quarto.
Perché senza fare sconti di pena a nessuno, si vuole, e si deve, rispettare il supremo interesse del minore come prevede la carta internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che anche l’Italia ha sottoscritto nel 1991.
C’è una raccomandazione del dicembre 2022 della Commissione europea che riguarda le madri detenute, in cui si specifica la necessità di salvaguardare il più possibile il legame madre-figlio e, quando i bambini, nel loro interesse, vivono in carcere, devono essere in ogni modo tutelati con misure che garantiscano la loro salute (pediatra di famiglia e bilanci di salute) e il loro benessere.
È evidente che la detenzione per un bambino molto piccolo provoca danni di tipo neuro psicologico che poi si porterà dietro per tutta la vita.
Tutti gli studi sociologici, psicologici, nonché le ricerche empiriche (come afferma la professoressa Colamussi nel libro “Detenzione e maternità”, Cacucci editore), segnalano in modo inequivocabile che l’ambiente carcerario, sezioni nido e Icam, è assolutamente inconciliabile con la crescita e lo sviluppo sano e naturale di un bambino, che è costretto a vivere i primi anni della sua vita in un contesto di “quasi totale deprivazione affettiva, relazionale, e sensoriale”.
Da alcuni anni è stata accesa una luce su questi bambini innocenti costretti a vivere in un carcere, un faro alimentato da una proposta di legge approvata soltanto alla Camera nella scorsa legislatura, e poi dalla mostra fotografica di Anna Catalano che è stata esposta in tante città in Italia e anche a Napoli, a Battipaglia e tra pochi giorni a San Giorgio a Cremano grazie alla sensibilità dei sindaci Manfredi, Francese e adesso Zinno.
Grazie alla Regione Campania che prima ha approvato una legge per aumentare le case famiglie protette e farle diventare la prima opzione per una mamma detenuta e poi ha creato “la casa di Adele” insieme al comune di Quarto e alla Fondazione Polis.
Ma è soprattutto grazie a tutti quei cittadini, che in questi mesi hanno affrontato e discusso questo tema nella librerie, nei teatri, nei festival, e a “Repubblica” che l’ha sostenuta con decisione, che oggi possiamo dire che questa battaglia in Campania è stata vinta.
Oggi la Campania segna una strada in controtendenza rispetto al governo, e sceglie di stare dalla parte delle bambine e dei bambini in carcere senza colpe, per provare a far crescere, nel tempo, generazioni migliori e adolescenti più consapevoli e meno violenti.
La Campania ha scelto la strada che guarda al futuro, rispettando il supremo interesse delle bambine e dei bambini.
Ci auguriamo che sia da esempio per altre regioni.
Fonte: La Repubblica/Napoli, 11/12/2024
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