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Ripartono oggi le sedute del processo Rostagno

Di Rino Giacalone il . Sicilia

«Un traffico di armi in provincia di Trapani? Certamente ce ne sono stati».  La risposta è inserita in uno dei verbali resi nel 1997 dal pentito di  Mazara Vincenzo Sinacori nell’ambito delle indagini sul delitto di  Mauro Rostagno. Non sono state risposte molto ricche di particolari  quelle di Sinacori e però sembrano potere contribuire a riempire,  anche se in minima parte, quel buco delle indagini sul movente del  delitto commesso dalla mafia 23 anni addietro. Imputati in Corte di  Assise sono Vincenzo Virga e Vito Mazzara.  Fino ad oggi il movente accreditato è quello del «fastidio» che  Rostagno giornalmente arrecava a Cosa Nostra dagli schermi di Rtc.  Tesi questa sostenuta dallo stesso Sinacori che ha riferito di un  «summit» tenutosi nel 1988 in un oleificio di Castelvetrano, durante  il quale il «padrino» don Ciccio Messina Denaro informò la «cupola»  che aveva dato incarico a Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani di  «farsi (uccidere ndr) quello con la barba», Mauro Rostagno.
 

Dietro le quinte resta la pista di un traffico di armi che lo stesso  Rostagno avrebbe scoperto in quel periodo, con aerei che atterravano e  decollavano dall’aeroporto ufficialmente chiuso di Kinisia, quello sul  quale venne rinvenuta una indicazione, ben più visibile dall’alto che  dal basso, riconducibile ai segnali «cifrati» di Gladio,  l’associazione segreta che in Sicilia si sarebbe occupata di «affari  oltremodo riservati» fuori dallo schema originario, ossia di struttura  della Nato, perchè questo era Gladio, che doveva occuparsi di  fronteggiare il pericolo «comunista».

Lo scenario sembra quello fatto  di grandi commistioni, la mafia, apparati deviati dello Stato, la  massoneria. Sinacori ha fatto i nomi dei possibili boss mafiosi  trapanesi che erano massoni, Totò Minore (eliminato dai corleonesi nel  1982), Vincenzo Virga, oggi in carcere a Parma, Michele Buffa,  deceduto durante il processo scaturito dall’operazione della Polizia  «Rino 3».

Il traffico di armi del quale parla Sinacori risale a tre anni prima  il delitto Rostagno, al 1985. «Lo organizzarono i marsalesi e gli  alcamesi insieme». Sinacori non ha escluso che altri carichi possono  essere arrivati in seguito: «Non è che ogni giorno avevamo bisogno di  armi, però questi traffici passavano per Trapani». Ma il racconto di  Sinacori tocca anche altri aspetti degli «affari» segreti della mafia.  Il traffico di rifiuti tossici. Fino ad oggi si è saputo di rifiuti  pericolosi che sono stati smaltiti segretamente nelle nostre cave,  rifiuti speciali, radioattivi, tra Marsala e Mazara e a Castellammare,  ma le ricerche non hanno dato esito.  Il pentito Sinacori dice dell’altro.

I rifiuti che da Trapani  partivano verso il settentrione e il nord Italia. Traffici illeciti  con l’impronta mafiosa. «C’erano rifiuti che provenivano dagli  ospedali», invece di essere smaltiti davvero si facevano sparire.  Erano le imprese della mafia a gestire questi appalti: «Per quello che  ne ho saputo questi carichi finivano in Umbria».
 

Sfogliando le pagine degli atti processuali una cosa emerge con  chiarezza: Mauro Rostagno è morto perché dava fastidio a Cosa nostra  trapanese. E la cosa ci può stare sia se si parla di fastidio per gli  interventi in tv, sia se si tratti di un fastidio preventivo, per  impedirgli di dire qualcosa che aveva appreso. Ma in questo caso la  mafia può avere appreso delle conoscenze di Rostagno solo da una “gola  profonda”, di qualcuno del quale Rostagno si fidava tanto da  confidargli i suoi “segreti”.  Il dato processuale è quello che in un modo o in un altro i suoi  interventi dagli schermi della tv locale Rtc, l’informazione che  forniva, fuori da ogni schema, di ieri, come potrebbe risultare anche  di oggi, erano carichi di sfida contro la mafia, di ironia, ma non  solo, anche disprezzo, nei confronti di un sistema politico locale che  si faceva facilmente corrompere e che lasciava le città in abbandono. 

E il padrino di Castelvetrano, don Ciccio Messina Denaro, morto nel  1998, ha rivelato ancora Sinacori, per questo diede l’ordine di  eliminarlo al capo mafia di Trapani, Vincenzo Virga: «A sparare devono  essere stati i killer più esperti» ha detto Sinacori e tra i nomi  indicati all’epoca fece anche quello di Vito Mazzara, il campione di  tiro a volo in carcere, come Virga, per una serie di omicidi, come  quello dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, ucciso  l’antivigilia di Natale del 1995, «come regalo di Natale ai boss in  carcere da parte di quelli liberi».
 

Sinacori ha anche parlato di traffici di armi e rifiuti, collocandoli  sempre tra la metà e la fine degli anni ’80. Era l’epoca in cui tra  Marsala e Mazara stavano nascosti i latitanti più importanti di Cosa  nostra, come Totò Riina, erano gli anni in cui sono spariti,  inghiottiti da lupare bianche, i vecchi boss trapanesi, uccisi dai  corleonesi «perché di loro non si fidavano abbastanza». E perché tanta  ricerca di fiducia e di cieca obbedienza da parte di Riina e soci? La  cosa si può spiegare solo con la necessità di essere sicuri che «certe  cose» potevano farsi senza che nessuno avrebbe mai tradito niente. Un  traffico di armi, un altro di scorie e rifiuti tossici, fatti con la  complicità di pezzi dello Stato potrebbe giustificare la necessità di  essere attorniati da chi sapeva mantenere il silenzio.

 Un po’ di più si potrà cominciare a capire dall’udienza in Corte di  Assise a Trapani del 16 febbraio. Se cioè c’è la possibilità che  durante il processo in corso per il delitto Rostagno si possano  davvero aprire quegli scenari rimasti «socchiusi». Tra i testi  chiamati a deporre, l’ex capo della Mobile Rino Germanà, oggi questore  a Forlì, uno dei pochi che può dire di essere sfuggito ai killer  mafiosi (Messina Denaro, Bagarella e Graviano tentarono di ucciderlo a  Mazara il 14 settembre del 1992): Germanà nel rapporto presentato alla  procura nel dicembre 1988 scrisse a chiare lettere la matrice mafiosa  del delitto. Verranno sentiti ancora l’ex comandante provinciale dei  carabinieri, l’allora colonnello Montanti, l’ex comandante del nucleo  operativo, oggi anche lui alto ufficiale dell’arma, Elio Dell’Anna. 

Tra i testi, l’odierno comandante della stazione di Buseto, maresciallo  Beniamino Cannas. Non ci sarà invece Monica Serra una teste oculare  del delitto, c’era lei in auto con Rostagno, quel 26 settembre del  1988. Rimase miracolosamente illesa: capacità che in altri delitti  solo i sicari mafiosi hanno dimostrato di possedere. E quel fucile  scoppiato tra le mani di uno dei killer che aveva fatto pensare a  degli inesperti all’opera secondo la ricostruzione fatta dai  carabinieri? «Cose che possono succedere anche ai mafiosi» ha detto il  pentito Sinacori.
 
In un oleificio di Castelvetrano fu deciso dalla mafia di eliminare  Mauro Rostagno. Il pentito Sinacori disse che vi partecipò con il capo  mafia di Mazara, Francesco Messina detto “u muraturi”. L’ordine di  ammazzare Rostagno venne dato dal «padrino» Francesco Messina Denaro.  «Certamente c’era il consenso di Riina – ha detto Sinacori – perchè  non si faceva cosa se lui non lo sapesse». E che è stata sicuramente  la mafia a ucciderlo era cosa nota tra le «famiglie»: «Nessuno chiese  mai chi avesse fatto quel delitto, segno questo che si sapeva che  eravamo stati noi, la mafia».

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