La violenza sulle donne e i dati che non ci sono
Per la ricorrenza del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Questione giustizia, anche a seguito delle rumorose polemiche seguite alle dichiarazioni del Ministro Valditara a proposito della forte incidenza sull’entità del fenomeno della presenza dei migranti illegali sul suolo italiano, aveva deciso di limitarsi a fornire alle sue lettrici ed ai suoi lettori i numeri della violenza: perché ognuno ed ognuna potesse trarre dal dato statistico la propria opinione sul fenomeno, sviluppando le proprie riflessioni, scavalcando così il muro di postulati dietro il quale per lo più si nascondono prevedibili schieramenti pregiudiziali.
La ricerca però non è andata a buon esito.
Infatti, i dati pubblicati relativi al fenomeno sono risalenti nel tempo: basti pensare che l’Istituto nazionale di statistica – ISTAT – dopo il 2014 non ha più svolto un’indagine complessiva, fondata su una visione di insieme del fenomeno, grazie all’integrazione di dati provenienti da varie fonti quali Istat, Dipartimento per le Pari Opportunità, Ministeri, Regioni, Centri antiviolenza, Case rifugio ed altri servizi come il numero di pubblica utilità 1522.
Inoltre, i dati disponibili sono anche parziali, perché hanno ad oggetto solo alcune manifestazioni del fenomeno “violenza”, quali per esempio i femminicidi, oppure provengono da enti o associazioni che necessariamente conoscono il fenomeno attraverso le fonti parziali di cui dispongono (es. la Polizia di stato elabora i dati, sicuramente parziali, relativi alle denunce; l’associazione Non una di meno riporta e commenta i dati sui femminicidi).
Nessuna di queste statistiche, peraltro, pur andando a distinguere tra autori italiani o stranieri, distingue tra immigrati legali e illegali, che invece sono stati indicati costituire una categoria autonoma rispetto alle altre.
L’assenza di dati complessivi in grado di inquadrare il fenomeno nella sua entità e nelle sue diverse manifestazioni (e per restare nella scia delle polemiche più recenti, di fotografare la sua diffusione presso le diverse componenti, anche etniche, della nostra società) a noi sembra già oltremodo significativa, e non certo incoraggiante.
Ci sembra di per sé la notizia da cui incominciare a ragionare: perché non è pensabile una seria opera di contrasto da parte delle Istituzioni se non a partire da una conoscenza quanto più oggettiva e completa su di un fenomeno così pervasivo e mutevole, che si può pensare di sconfiggere solo mettendo in atto politiche culturali prima che legislative in grado di raggiungere tutti i diversi strati sociali in cui si annida.
Leggerne solo una parte, magari anche la più drammatica, quale il capitolo dei femminicidi, e da essa volendo “puntare” solo al dato della nazionalità degli autori, peraltro travisandone l’effettiva consistenza con la ingannevole equazione “straniero=illegale” suona innanzitutto come una rinuncia, una abdicazione al dovere di contrastarlo in ogni modo, nei confronti di chicchessia, sempre e ovunque.
Suona come l’ennesima strumentalizzazione a fini di propaganda di un fenomeno, in luogo della sua seria considerazione per tentarne la soluzione o quantomeno la riduzione. A voler tacere del fatto, ancora, che dietro il termine “straniero” si nascondono situazioni completamente differenti tra di loro, dal momento che avere una cittadinanza diversa da quella italiana non equivale e individuare il retroterra culturale di un soggetto che magari in Italia è nato, ha seguito un corso di studi, ha coltivato amicizie e rapporti sentimentali.
Rimettiamoci però ai dati di cui disponiamo.
L’ISTAT indica quale risultato complessivo della sua indagine il dato, sicuramente sensazionale, secondo cui il 31,5% delle 16-70enni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: distingue poi all’interno di questa larga platea tra diverse tipologie di violenza, e analizza anche l’ambiente in cui è essa maturata, confermando che quello privilegiato è l’ambiente familiare, essendone autore in grande prevalenza il partner (o l’ex partner).
La stessa evidenza emerge dalle analisi, anche più recenti, in tema di femminicidi, da cui appunto risulta che la famiglia o, meglio, la coppia, è l’humus in cui la determinazione della soppressione della partner o ex partner si concretizza.
E tanto basterebbe a indicare la più concreta e impegnativa delle direzioni verso cui muovere le energie della politica: quello dello smantellamento, sul piano culturale, ma poi anche sociale ed economico, del modello patriarcale che domina in tante culture, straniere e non, e che ancora pervade la nostra società e plasma la mentalità anche dei più giovani, come la vicenda dell’omicidio di Giulia Cecchettin sta lì a ricordarci casomai fossimo caduti nella tentazione di girare la testa dall’altra parte per cercare altre illusorie soluzioni.
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