Paura a Milano. Ti aggrediscono sul bus e attorno la gente guarda: solidarietà addio
Sconvolte. Sono scese sconvolte. Il racconto alla fermata del bus mi arriva da due giovani donne. Una più adulta, l’altra ragazzina. Questa è una storia che non leggerete da nessuna parte. Perché manca il sangue, perché manca il sesso. E non c’è neppure il nome che scatena le fantasie della cronaca. È una storia normale.
La più adulta si chiama Giovanna, l’altra Margherita (nomi di fantasia). Erano insieme sulla 94, una linea di superficie di Milano, che ha buona fama per il fatto di raccogliere una larga utenza di borghesia cittadina lungo la circonvallazione interna.
Perciò le mie interlocutrici sono doppiamente sbigottite. Fosse successo tutto su una delle tipiche linee a rischio della periferia, si sarebbe purtroppo capito. Ma è successo sulla linea degli avvocati, dei giornalisti e degli studenti universitari. Dove tutto avviene alla luce del sole, davanti alla gente “per bene”.
A questo punto vorrete sapere che cosa sia accaduto. Apparentemente poca roba.
Le due non si conoscevano, si sono incontrate sulla 94 partendo dal centro e dirette verso l’Arena o l’ex quartiere cinese di via Paolo Sarpi. A un certo punto si sono trovate davanti un giovane energumeno dallo stato mentale visibilmente alterato. Che le ha puntate mentre erano in piedi. E poi si è avventato addosso a loro, spingendole come un forsennato. Senza ragione, senza che tra loro fosse corsa una parola o uno sguardo.
Le due sulle prime non hanno capito, che diavolo ci sta succedendo? Poi si sono guardate intorno. E la scena era ancora più surreale. Nessuno dei presenti aveva emesso o emetteva una sillaba. Tutti facevano finta di niente. Nessuno che dicesse una parola. Sicché le due hanno capito d’istinto che l’energumeno avrebbe potuto commettere su di loro qualunque violenza senza che nessuno muovesse un mignolo.
L’autista era lontano e chissà poi se avrebbe voluto vedere quanto stava accadendo, se non avrebbe preferito dar la precedenza all’altro, più tranquillo, suo compito, guidare nel traffico del primo pomeriggio.
A quel punto è stata Giovanna a prendere sotto la sua protezione Margherita tremante e a decidere di scendere di corsa alla prima fermata. A dirle di chiamare la mamma che non era poi troppo distante.
Per poi riferire al sottoscritto qualcosa che è in grado non di guastare l’immagine della 94, ma di guastare l’immagine di Milano. “Abbiamo capito di colpo che Milano è davvero una città insicura. E non”, spiega, “perché ti possa capitare accanto un tipo fuori di sé, quello ci può stare. Ma perché se ti capita accanto e ti prende di mira tu sei totalmente alla sua mercé anche su un autobus affollato ma che è come se fosse vuoto. Questo sconvolge. Nessuno ti difende. Basterebbero due o tre che si danno un’occhiata e decidono di frapporsi. E invece tutti si voltano dall’altra parte e fanno finta di non vedere. Pensi che io sono finita addosso a un signore sui sessanta ben vestito, le mie dita gli sono finite sulle spalle e non ha fatto una piega”.
Parla con foga, Giovanna, ancora non si capacita della situazione vissuta. Ripensa alla ragazzina tremante, alle decine di passeggeri imperturbabili, non davanti a una banda con le mazze ferrate, ma a un solo individuo a mani nude.
“Ma dov’è finita la Milano della solidarietà?”, continua Giovanna, “la Milano che conoscevo? E se è così qui che cosa succederà a Palermo?”. La tranquillizzo: “A Palermo non succederebbe, signorina, o almeno non succederebbe più. È qui tra noi che dobbiamo guardare purtroppo”.
Già. Saremo anche la capitale del volontariato, come ci piace ripeterci, ma la solidarietà è un’altra cosa, scatta d’incanto e ogni tanto comporta perfino qualche rischio.
Non solo per chi decide di andare a dare una mano in un altro continente (ce ne sono) ma per i molti che decidono con una parola o col silenzio di impedire o di fermare la violenza. Sono loro a far la differenza.
Il Fatto Quotidiano, Storie Italiane, 18/11/2024
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