Licia Pinelli e gli sconfitti
Ci sono persone che parlano, parlano, parlano e non dicono nulla. Ci sono persone che distillano parole e dicono molto. Licia Rognini vedova Pinelli faceva parte della seconda categoria.
Partiamo quasi dalla fine: nel 2009 il Presidente Napolitano la invita al Quirinale per la cerimonia in ricordo delle vittime delle stragi. Un momento storico che non vuole imporre una storia condivisa – termine insulso – ma risarcire una vittima, anzi “una doppia vittima”, disse il Presidente, perché Pinelli fu prima denigrato e poi pagò con la vita. Un gesto, quello di Napolitano, che rappresentava una rottura storica dell’ipocrisia di Stato che voleva Pino Pinelli non vittima, semmai un anarchico che forse qualche colpa ce l’aveva per la strage di Piazza Fontana. Ai microfoni di Radio Popolare, poco tempo dopo, chiesero a Licia cosa ha pensato dell’invito di Napolitano: “non me l’aspettavo, ero frastornata”. Punto.
Sollecitata a spiegare come avesse reagito all’incontro con la vedova Calabresi – Luigi Calabresi era il commissario che aveva deciso l’arresto di Pinelli e dalla finestra del suo ufficio buttarono giù Pinelli – Licia rispose: “è stato un incontro cordiale”. Punto.
E cosa dire di Mario Calabresi, che aveva scritto un libro comprensibilmente assolutorio sul padre? “I parenti non hanno nessuna colpa in quello che è successo”. Punto.
Licia Pinelli è stata una donna di una caparbietà senza fronzoli, un’implacabile accusatrice degli apparati dello Stato che avevano ordito la strategia della tensione. Senza mai una parola fuori posto, una lacrima, una concessione al compromesso. Le arrestarono il marito la sera della strage di Piazza Fontana e con una fredda telefonata, 3 giorni, dopo le dissero che aveva avuto un incidente.
Alla conferenza stampa della notte il Questore Guida s’inventò l’ignobile bugia di un Pinelli che urlando “Viva l’anarchia” si lanciava dalla finestra perché il suo alibi era crollato. Orribili personaggi che non hanno mai pagato per tutto quel fango lanciato su un innocente.
Da allora Licia non ha mai deviato dal suo percorso di ricerca della verità e della giustizia. Senza illusioni. E’ stata una testimone granitica dei piani eversivi che hanno stritolato decine di innocenti in questi anni. Adesso spetta alle figlie Silvia e Claudia andare avanti.
Se volete capire l’Italia degli ultimi 60 anni leggete “Una storia quasi soltanto mia”, una lunga intervista che Piero Scaramucci ha costruito in mesi di conversazioni con Licia Pinelli.
A pagina 19 c’è questo dialogo che vale più di un libro di storia:
P. – Ti senti sconfitta?
L. – No.
P. – Però hai perso.
L. – Non mi sento sconfitta perché ho fatto tutto quello che potevo fare nell’ambito della legalità. Gli sconfitti sono coloro che non hanno avuto il coraggio di arrivare a scoprire la verità. Caizzi (uno dei magistrati che si occupò del caso n.d.r) ha parlato di “morte accidentale”, Amati (magistrato sponsor della pista anarchica n.d.r.) di “suicidio”, D’Ambrosio (il giudice che archiviò il procedimento) di “disgrazia plausibile”. Dimmi tu chi sono gli sconfitti.
Vero: Licia Rognini vedova Pinelli non è mai stata sicuramente una sconfitta.
* Direttore del Festival dei Diritti Umani
Fonte: Articolo 21
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