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L’idea delle stragi nella mente violenta di Matteo Messina Denaro

di Rino Giacalone il . L'analisi, Sicilia

La sua «firma» è nelle stragi del 1993, quelle che hanno mietuto vittime a Roma, Milano e Firenze. Stragi dalla matrice mafiosa, decise scegliendo i luoghi da colpire con i libri d’arte italiana tra le mani. A indicarli sarebbe stato proprio l’attuale super latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Lui, il boss, ricercato dal giugno 1993, secondo i pentiti di arte ed archeologia se ne intende, capacità anche questa ereditata dal padre, il padrino Francesco, che a lui lasciò il bastone del comando mafioso della Sicilia occidentale. I luoghi scelti per gli attentati del 1993 celerebbero scenari particolari: l’attentato a Firenze in via dei Georgofili pare sia stato deciso per mandare con quel botto un «avvertimento» alla massoneria, che lì aveva una delle sue più importanti sedi.

A Roma furono colpite le chiese di San Giovanni e San Giorgio: nel 1993 presidenti di Camera e Senato erano, rispettivamente Giorgio Napolitano, l’attuale presidente della Repubblica, e Giovanni Spadolini, scomparso oramai da diversi anni, tritolo destinato alle più alte cariche dello Stato, dunque. Ma anche alla Chiesa, dopo che nel maggio 1993 Giovanni Paolo II venendo in visita anche in provincia di Trapani, lanciò quel suo famoso anatema contro la mafia ed i mafiosi, con quell’invito a convertirsi per non essere colpiti dal giudizio di Dio.

Ci sono sentenze che attestano le colpe di Matteo Messina Denaro per quelle stragi, una pronunciata anche a Marsala dove è stato condannato assieme a Giuseppe Graviano per il tritolo utilizzato per quelle stragi, che partì proprio dalla provincia di Trapani. Sono stati condannati a quattro anni e mezzo di carcere e 1500 euro di multa ciascuno, per detenzione di armi ed esplosivi. Una condanna inflitta in continuazione con quella decisa a suo tempo dalla Corte d’assise d’appello di Firenze il 13 febbraio del 2001. Il tritolo per le stragi del 1993 partì da Mazara: l’esplosivo usato a Roma per l’attentato al giornalista Maurizio Costanzo (via Ruggero Fauro), quello che danneggiò la chiesa di San Giovanni al Velabro e quello che doveva essere usato nel fallito attentato allo stadio Olimpico.

 «Vidi caricare armi ed esplosivo – disse l’ex capo mafia di Mazara Vincenzo Sinacori – su un camion davanti ad un villino di Mazara, ho assistito anche all’arrivo del “carico” a Roma, finiti custoditi da un autotrasportatore campano, Antonino Scarano». Ignoto è rimasto chi guidò il camion col tritolo da Mazara a Roma, «era un anziano di Castelvetrano» ha detto il pentito castelvetranese Ciccio Geraci. Sempre per le stragi del 1993 a Palermo furono condannati a pene varianti tra gli otto anni e quattro mesi e sei anni e quattro mesi, Totò Riina, Mariano Agate, Salvatore Biondino, Cristofaro Fifetto Cannella, Lorenzo Tinnirello e Giovan Battista Consiglio.

Quello che è successo dopo il 1993 è cosa nota: Messina Denaro si è ripulito le mani sporche del sangue di tanti morti ammazzati e si è messo a capo di una holding imprenditoriale mafiosa.  L’idea delle stragi però non avrebbe abbandonato Matteo Messina Denaro, sopratutto se sono «stragi che servono ad aprire o continuare trattative». Questo è il pensiero del procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Antonio Ingroia. «Matteo Messina Denaro – dice Ingroia – potrebbe essere tentato da un nuovo progetto stragista».

La storia del nostro Paese «è attraversata da un filo rosso che lega i momenti cruciali della Repubblica alle stragi». «Non voglio fare la cassandra – prosegue Ingroia – ma siamo in una fase molto delicata, di difficoltà politico-istituzionale, alla vigilia di quella che può essere una terza repubblica ed è questo il momento in cui in genere il potere mafioso cerca di fare sentire la sua voce ed incidere in qualche modo».

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