NEWS

Quando il rancore conduce alla violenza

Di Vittorio Giacomin il . Veneto

Un fatto di cronaca avvenuto
nei giorni scorsi nel nostro paese, e poco conosciuto, credo debba essere
ripreso per aiutarci a capire meglio cosa sta succedendo e per orientarci.
Mi riferisco a quanto è successo al parco pubblico di Via Adige, nel
capoluogo, quando un ragazzino, credo delle medie, si è permesso all’interno
di quattro tiri al pallone con altri, di dire una parola di troppo.

Ho sentito che dei ragazzini
stavano giocando a calcio, a questi si sono aggiunti alcuni ragazzi
più grandi, forse maggiorenni, ne è nato un confronto su chi sapeva
tirare meglio, sennonché uno di questi ultimi giovani arrivati fa cilecca
con un tiro e un ragazzino si permette di dirgli: sei una mezza cartuccia.
Riferiscono che la frase non era proprio così, ma questo era il senso
e comunque non mi pare una grave offesa all’interno della dinamica
di un gioco. La risposta rabbiosa di questi è stata tanto fulminea
quanto violenta: il ragazzo più grande ha preso per il collo quello
più piccolo, sollevandolo, gli ha dato un pugno in bocca spaccandogli
l’apparecchio e altri pugni allo stomaco. Non so riferire come sia
finita la vicenda, qualcuno dice dai Carabinieri, perché questa situazione
non è di competenza dei nostri vigili. Mi pare che l’episodio debba
essere considerato con la giusta attenzione perché evidenzia due aspetti
molto importanti. 

***

Il primo è quello riferito
a questo comportamento che evidenzia un disagio a mio avviso generalizzato
che ha trovato sfogo alla prima occasione. Non credo che questo ragazzo
sia “cattivo” di suo, credo invece che il suo comportamento sia
frutto di sentimento che si respira da

troppo tempo nella nostra società 
del benessere, e che è il sentimento del rancore. Ovunque respiriamo
questo, dai discorsi dei politici, dai loro atteggiamenti, nella frustrazione
delle famiglie, negli atteggiamenti che viviamo per strada quando il
furbo ti sorpassa dove non può, o non rispetta la fila, o non cede
il posto nell’autobus, per non parlare di quello che passa la tv.
Lo vediamo ancora nella nostra esasperata attitudine alle soluzioni
individuali, nella ritrosia nei confronti delle istituzioni, nell’esasperata
chiusura localistica. La nostra società è pervasa da questi esempi
di intolleranza, di violenza sempre repressa, dove vige la legge del
più forte, del più furbo, di quello che si è fatto da sè e che non
può aspettare, non può ascoltare, non può tollerare, perché deve
andare, dove non si sa, forse verso una Pedemontana a pagamento. Questonostro
nord-est sempre di corsa, sempre in colonna, sempre alienato e stressato
dalla quotidianità, sempre alla ricerca di nuove strade che portino
più in fretta, e a pagamento, come ha ben osservato Marco Paolini,
verso il caos e l’incapacità di vedere i costi sociali  di questo
modo di essere. Crediamo purtroppo di essere noi a autodeterminarci
e invece la nostra terra la dobbiamo vivere con fatica, e a pagamento:
l’esperienza del Dal Molin è davvero eloquente e il silenzio della
Lega su questo (quella dei “paroni a casa nostra”), altrettanto
imbarazzante. Io credo che questo gesto, sicuramente da stigmatizzare,
sia però il frutto di un sentimento diffuso e pervasivo che nasce da
una forte crisi di identità della nostra società.Siamo passati in
fretta dal modello agrario molto più incline all’auto aiuto reciproco,alla
solidarietà, al rispetto dei tempi della natura, ad una situazione
parossistica di economia molecolare frutto di un capitalismo che ha
avviato un processo che A. Bonomi definisce esaltazione dell’auto-sfruttamento.
Tutti noi ci siamo trovati all’interno di questa spirale regressiva,
con a sfondo uno Stato che si sta sciogliendo, in una situazione dove,
scrive sempre Bonomi: il lavoratore autonomo e il piccolo imprenditore
si ritrovano presi in mezzo tra l’invidia sociale – un sentimento
che sembrava aver sostituito la lotta di classe – e i tecnocrati. 

In questo rapido scorrere del
tempo, e questo esasperato vivere il presente, ha preso sempre più 
corpo l’angoscia per il futuro. Mi pare questa la radice del malessere
che ha visto i territori uscire da una visione ideologica per traghettarli
in una espressione politica che ha trasformato gli assetti istituzionali
in questo ultimo decennio. La paura del futuro si associa quindi alla
paura del diverso, dello straniero, reclama più sicurezza, accetta
una restrizione delle libertà, trova terreno fertile nel tribalismo
culturale per usare una felice espressione di Sergio Frigo. Mi preoccupa
questo fatto di cronaca, anche se per fortuna modesto, perché secondo
me rende manifesto il disagio che ci stiamo trasmettendo da una generazione
all’altra, incapaci di trovare una via d’uscita. 

***  

Nel secondo aspetto mi chiedo:
è giusto, in linea teorica, che queste situazioni le risolvano
i Carabinieri? Serve arrivare a questo? Possibile che viviamo in una
società priva di anticorpi

incapace di auto-ripararsi
come dovrebbe fare? Mi interrogano queste domande perché io le
ritengo cruciali. O troviamo dentro di noi l’antidoto e lo mettiamo
a disposizione della comunità oppure questo clima di rancore diventerà
sempre più forte e palese. I recenti fatti francesi contro i Rom o
l’assassinio di Conegliano di questi giorni evidenziano una situazione
generalizzata di difficoltà e disagio che deve essere ripresa, e in
questa grande confusione che rende ormai la destra uguale alla sinistra,
nessuno può chiamarsi fuori e ciascuno può fare certamente qualcosa.
Ho sentito anche che questo fatto, mi riferisco ad alcune forme di violenza
nei parchi, non sia nuovo, già altre volte era accaduto qualcosa di
analogo, e che per tale ragione, alcune mamme si erano organizzate con
una loro presenza più mirata nei parchi con l’intento di creare almeno
un deterrente. Sarebbe interessante valutare la disponibilità di alcune
nostre associazioni per una loro presenza sistematica sul territorio.
E si badi bene che la mia non è una richiesta di sicurezza alimentata
dalla paura, quanto piuttosto un invito alla mobilitazione, al risveglio,
alla voglia di essere davvero utile alla comunità con gesti e ruoli
che non siano solo quelli di mettere le transenne alle sagre e non sto
certamente pensando alle “ronde”, il mio pensiero è quanto più
lontano possibile da questo. Serve, come ho detto prima, una trasformazione
culturale in tutti noi, che riprenda e alimenti questo tentativo di
coinvolgimento della comunità al di fuori, e al di là delle inaugurazioni
e degli atti di presenza. Serve in altre parole un’assunzione di responsabilità
da parte di tutti. Gli Alpini, la Protezione Civile, gli Anziani del
centro e anche gli altri, persone queste per la maggioranza avanti negli
anni, quindi con disponibilità di tempo e comunque non sottoposte al
giogo del lavoro, potrebbero regalare una parte del loro tempo alla
comunità e andare a conversare nei parchi alimentando quindi un’azione
di “controllo sociale” che sarebbe anche motivo di esempio per tutti.
In questo tempo ingordo dove non c’è tempo per nulla se non per il
lavoro e l’accumulo, regalare una parte del proprio tempo con generosità
potrebbe essere un bel gesto di attenzione nei confronti della comunità,
oltre che di esempio per le giovani generazioni. Infine, sarebbe a mio
avviso da ripensare il servizio dei vigili urbani. 

La mia sensazione è che
da quando è stato smantellato il nucleo del nostro comune, per
aderire al Consorzio, la loro presenza sul territorio sia sensibilmente
diminuita o quantomeno non tempestiva come in precedenza: anche su questo
servirebbe una riflessione. Ogni lunga marcia inizia con il primo passo.

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link