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Trapani, iniziato ieri il processo Rostagno

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Ha gli occhi al solito «vispi», curiosa, muove le pupille continuamente guardandosi attorno, guarda la gente, i giovani, si sofferma su chi entra in aula con la toga, i pm, gli avvocati, circodanata da giornalisti e telecamere potrebbe uscirne fratsornata, ma alla fine è lei che frastorna gli altri con le sue dichiarazioni. «Aspettavo questo momento e quasi non ci credevo più – dice Maddalena Rostagno, figlia di Mauro il sociologo e giornalista ucciso 22 anni addietro a Lenzi, dei familiari è l’unica presente – Aspettavo tanto di entrare in un’aula di Tribunale, e ci sono riuscita, lo considero un punto di partenza, intanto sono grata a questi inquirenti e non ai precedenti, sono grata alla gente, adesso ci giochiamo questa partita».

Mauro Rostagno fu ammazzato la sera del 26 settembre del 1988 a Lenzi, territorio di Valderice. Guidando una Duna Bianca, assieme a Monica Serra, stava facendo rientro alla comunità Saman, arrivando da Rtc, la tv nella quale lavorava oramai da due anni, cominciando dapprima per seguire i giovani in terapia e poi afferrando lui il microfono e conquistando presto lo schermo e l’attenzione della città. Monica Serra era una delle ospiti della comunità che lavorava a Rtc, i killer spararono lasciando lei miracolosamente illesa. Poi lei corse in comunità a dare l’allarme. Per la Procura antimafia di Palermo fu la mafia a volere morto Rostagno e imputati sono nel processo davanti alla Corte di Assise e che si è aperto ieri, due mafiosi oramai conclamati per le sentenze che li riguardano diventate definitive.

Scontano ergastoli per altri delitti, adesso debbono rispondere anche di quello di Mauro Rostagno: sono Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani e Vito Mazzara, il killer della cosca. Virga, è detenuto a Parma, 75 anni, ha seguito il processo in video conferenza, è al 41 bis. Vito Mazzara, è detenuto a Biella, per potere partecipare al processo è stato trasferito al carcere di Pagliarelli a Palermo, ma poi ha rinunciato alla presenza. Virga è difeso dagli avvocati Giuseppe Ingrassia e Stefano Vezzadini; Mazzara da Vito e Salvatore Galluffo, padre e figlio. In aula a rappresentare l’accusa sono stati il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto procuratore Gaetano Paci, sarà quest’ultimo probabilmente a seguire le udienze.

La Corte di Assise è presieduta dal giudice Angelo Pellino, a latere il giudice Antonio Genna. Si sono fatti già apprezzare per le prime ordinanze emesse, quella sulle parti civili da ammettere e sulle prove testimoniali. La prossima udienza sarà il 16 febbraio, ma dal mese di marzo ogni mercoledì si terrà udienza, sono 300 i testi che dovranno essere sentiti, citati da accusa, difese e parti civili, prima di Natale 2011 i giudici vogliono giungere alla conclusione. Tempi già dettati e marcati. È il primo punto a favore di questo dibattimento che comincia a 22 anni dal delitto.

L’accusa è precisa. «Rostagno – dice il pm Paci – è stato ucciso dalla mafia perchè faceva paura come giornalista, a Trapani come dimostrato in altre sentenze c’era insediato un sistema di potere che aveva paura che Rostagno diventasse specchio di quella realtà criminale, che la raccontasse con fin troppa dovizia di particolari in tv». Ed ha aggiunto illustrando le fonti di prova: «Questo processo non si sarebbe potuto fare senza l’impegno degli uomini della Polizia diretti dal dottor Giuseppe Linares (il capo della Mobile che proponendo una perizia balistica e riascoltando i pentiti permise alla Dda di non archiviare le indagini ndr) e la caparbietà del dott. Ingroia». «A parere nostro quelli prodotti dall’accusa – ha detto fuori dall’aula il pm Ingroia – sono elementi robusti, abbiamo ottenuto dalle indagini elementi importanti sulle responsabilità della famiglia mafiosa di Trapani».

Le difese si sono mosse in maniera diversa. La difesa di Vincenzo Virga si è soffermata a sostenere, presentando i propri testi, l’estraneità del capo mafia al delitto, i difensori di Vito Mazzara hanno guardato oltre. «Siamo qui – ha affermato l’avvocato Salvatore Galluffo – per trovare il colpevole non un colpevole di questo delitto che a ragione si afferma ha sconvolto la vita di questa città. Questo – ha proseguito – è un processo importante per la storia giudiziaria, per la ricostruzione di una pagina buia della vita civile». Per loro Mazzara non c’entra nulla nel delitto, tra i loro testi ci sono molti di quei soggetti a suo tempo coinvolti nella cosiddetta «pista interna», giovani ospiti della comunità arrestati e poi prosciolti dal delitto, a cominciare da Giuseppe Cammisa, parente di mafiosi campobellesi, braccio destro di Francesco Cardella, l’ex guru della Saman.

Cammisa è all’estero da tempo, ha fondato un «circolo del buon governo» in un paese dell’est, come Cardella che si trova in Nicaragua: proveranno a sentirlo, ma pare che lui dal paese sudamericano non possa muoversi, nonostante un passaporto diplomatico garantitogli dal presidente Robelo. Tra i testi della difesa di Vito Mazzara c’è anche il «faccendiere» e «uomo» dei servizi segreti Francesco Elmo, quello che parlò di strani traffici di armi e rifiuti tossici che passavano negli anni ’80 per Trapani con «eccellenti» coperture istituzionali e con la partecipazione della «mafia».

Ci può essere un’altra pista per questo delitto? «Parlerei di approfondimento che può essere fatto – dice il pm Paci – rispetto a quelle connessioni tra mafia, politica, imprenditoria, anche tra mafia ed istituzioni, esistiti a Trapani negli anni ’80 ed emersi in altri processi». «Invito intanto a vedere questo processo come un passo in avanti – ha meglio precisato il pm Ingroia – considero il trovarci qui il raggiungimento di una tappa non il traguardo, il punto di arrivo, spero molto che il dibattimento offra spunti per aprire altre finestre, per parte mia sono consapevole che finora si è scoperta solo una parte del perchè del delitto».

Lo scenario. Rostagno come giornalista non piaceva ai mafiosi, «dava fastidio» hanno detto i pentiti, «era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato» ha detto al momento degli arresti l’allora capo della Mobile Giuseppe Linares. E la prossima udienza il 16 febbraio comincerà da un ex capo della Mobile, l’odierno questore di Forlì Rino Germanà: 22 anni dopo si riparte dal suo rapporto scritto a pochi giorni da delitto dove attribuiva la responsabilità alla mafia e faceva il nome di Francesco Messina Denaro, il capo mafia di Castelvetrano. Il pentito Sinacori ha raccontato che a casa del «padrino» belicino fu deciso di uccidere Rostagno. Ma la pista della mafia per 22 anni è stata messa da parte, «colpa di ritardi investigatvi, anomalie, false piste e depistaggi» ha commentato in conclusione il pm Ingroia.

Le parti civili. Sulla costituzione delle parti civili (tra quelle ammesse anche l’associazione Libera di don Luigi Ciotti) c’è stata un’inattesa «apertura» della stessa difesa. L’avvocato Salvatore Galluffo, difensore di Vito Mazzara, non ha sollevato alcuna eccezione. Anzi, ha giudicato «costruttiva» la richiesta di ammissione presentata da ben 22 soggetti tra associazioni ed enti territoriali. «Noi auspichiamo un contributo utile e non la propaganda morale, sociale ed elettorale fatta a spese dei contribuenti». Riserve sulla presenza della Regione e degli enti locali, sono state espresse dall’avv. Giuseppe Maria Ingrassia, legale di Vincenzo Virga indicato come il mandante del delitto.

Ingrassia ha ricordato che nel marzo 1988 la Regione rifiutò a Rostagno, considerandolo esoso, un contributo di 30 mila lire per ogni ospite della comunità Saman. «La Regione non si preoccupò della comunità di Rostagno mentre oggi figura tra le parti civili». Parlando dei Comuni ha rico
rdato come erano gli stessi citati nelle cronache giornalistiche di Rostagno a proposito di «malefatte» di diverso genere. Il presidente Pellino infine con una ordinanza ha deciso queli parti civili ammettere, dando un tributo preciso a Rostagno: «sebbene senza tessera faceva il giornalista». E così ha accolto la richiesta di costituzione avanzata da Ordine dei Giornalisti (c’era il presidente Corradino, avvocato incaricato Francesco Crescimanno) e dal sindacato dei giornalisti (in aula c’erano il segretario provinciale Mariza D’Anna e l’avvocato Greco).

«L’Associazione siciliana della stampa esprime grande soddisfazione per la decisione della Corte d’assise di Trapani di ammettere il sindacato unitario dei giornalisti tra le parti civili del processo che si è aperto contro i presunti assassini di Mauro Rostagno – ha detto Alberto Cicero, segretario regionale dell’Assostampa. A oltre 22 anni di distanza – aggiunge – si farà finalmente luce sull’omicidio di un uomo che fece dell’informazione e della divulgazione uno strumento fondamentale nella lotta alla mafia e al malaffare, in una terra come la Sicilia dove i poteri occulti cercano quotidianamente di condizionare la società civile. Il sindacato dei giornalisti recentemente ha espresso più volte preoccupazione per diversi gesti di vile intimidazione di cui sono stati bersaglio negli ultimi tempi molti colleghi in Sicilia. L’Assostampa è e sarà sempre al fianco di chi combatte per la verità e la conoscenza pagandone a volte un pesante tributo. Questo processo può costituire un momento importante per la diffusione della cultura della legalità in Sicilia».

«La costituzione del sindacato – ha aggiunto il segretario provinciale di Trapani Mariza D’Anna – ha una valenza ancor più significativa per la provincia di Trapani dove Rostagno aveva scelto di vivere e lavorare come giornalista: un significato simbolico per la società civile e anche per i tanti giornalisti che oggi operano in questo territorio ancora molto difficile e condizionato da chi non vuole far emergere la verità».

Parti civili ammesse sono state quelle dei Comuni di Trapani, Erice, Valderice, della Provincia, della Regione, dell’Antiracket di Trapani, si aggiungono a quelle costituitesi in sede di udienza preliminare, i familiari di Rostagno, la compagna Chicca Roveri, l’ex moglie Maria Teresa Conversano, le figlie, Monica e Maddalena, la sorella carla, e infine l’associazione Saman. Esclusi i Comuni di Favignana, San Vito, Campobello, Marsala, Alcamo, il consorzio per la legalità, le associazioni antiracket di Marsala e Mazara, la Cgil, Confindustria, la Camera di Commercio, Libera Informazione, Un’altra storia.

«La presenza di così tante parti civili – commenta il pm Paci – è importante, per il contributo che daranno al processo, ma queste presenze ci dicono che Mauro Rostagno non è stato dimenticato, e esercitando la memoria si può dare un preciso contributo a ricostruire la verità». Proviamo a spiegare l’affollata partecipazione dei cittadini che hanno accolto l’appello dell’associazione «Ciao Mauro». «È come se questi giovani avessero conosciuto mio padre – dice Maddalena – impossibile che ciò possa essere avvenuto perché hanno 18, 20 anni. Ma è come se avessero fatto tesoro delle cose che mio padre diceva nel 1988 quando incontrava la gente di questa città, chiedeva impegno e determinazione, nel rapportarsi con lo Stato. Ecco oggi è una vittoria di Mauro».

Le indagini. Intanto c’è una perizia balistica che secondo la Dda dimostra la «firma» di Vito Mazzara nel delitto. Le cartucce secondo le perizie combaciano con quelle trovate sulle scene di altri delitti, anche se per il Tribunale del Riesame (ieri la difesa ha ottenuto l’ammissione della sentenza agli atti processuali) le prove non sono così schiaccianti da giustificare una ordinanza di custodia cautelare. Mazzara è in carcere a scontare altri delitti, ma per l’omicidio Rostagno non ha provvedimento cautelare, è a giudizio come se fosse libero. Per l’accusa la perizia della Polizia scientifica è irrobustita invece dalle dichiarazioni più specifiche del pentito Milazzo e da una nuova perizia.

Mazzara fu armato dai capi mafia: i pm sostengono che Rostagno come giornalista non piaceva ai mafiosi, «dava fastidio», lo hanno raccontato i pentiti a cominciare da Francesco Milazzo di Paceco, a continuare con Sinacori, di Mazara, Giovanni Brusca, Angelo Siino. «Era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato» ha detto il capo della Mobile Giuseppe Linares spiegando le indagini. La prossima udienza il 16 febbraio comincerà da un ex capo della Mobile, l’odierno questore di Forlì Rino Germanà, sfuggito ad un agguato a Mazara nel 1992: 22 anni dopo si ripartirà dal suo rapporto dove attribuiva la responsabilità del delitto alla mafia e faceva il nome di Francesco Messina Denaro, il capo mafia di Castelvetrano; il pentito Sinacori ha raccontato che a casa del «padrino» belicino fu deciso di uccidere Rostagno. Ma la pista della mafia per 22 anni è stata messa da parte: «Colpa di ritardi investigativi, anomalie, false piste e depistaggi» ha commentato il pm Ingroia.
Si riparte da un rapporto di 22 anni addietro, ma si entra subito nell’attualità, si parlerà di Messina Denaro, il padre dell’attuale super latitante Matteo.

«La famiglia Messina Denaro  ha svolto e svolge un ruolo di vertice – risponde Ingroia – Ricordo di Paolo Borsellino quando parlava della provincia di Trapani e ne dava una importanza dal punto di vista mafioso superiore a quella riservata per Palermo, qui c’era e c’è lo zoccolo duro di Cosa nostra». «Finalmente sono state rimesse le cose a posto» dice Maddalena. Non è stato facile, e non è stato facile in una città che ha impiegato decenni per ammettere l’esistenza della mafia.  Alla gente però piaceva quell’uomo vestito di bianco che raccontava i mali di Trapani dagli schermi di Rtc ed alzava la voce quando doveva dare notizia di giovani morti per overdose, «la mafia – urlava – qui fa affari con la droga», o ancora raccontava dei malcostumi politici.

La sede del Comune, Palazzo D’Alì, lui la chiamava «Palazzo D’Alì dei 40 (tanti erano i consiglieri comunali ndr)  ladroni». E i politici sbuffavano. La sera che Rostagno fu ucciso, era riunito il Consiglio comunale a Trapani, ma tutti, apprendendo la notizia del delitto, si guardarono bene dal sospendere la seduta.

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