Messico, violenza continua
In Messico ormai la violenza è ovunque. Le feste di Natale e Capodanno non hanno fermato gli omicidi. Gli ultimi giorni del 2010 sono stati caratterizzati dall’assassinio dell’attivista Marisela Escobedo a Chihuahua, mentre manifestava per chiedere giustizia per la figlia, anche lei assassinata, il sequestro del cognato (poi ucciso). La prima settimana di gennaio si è aperta con 300 morti, fra cui due sindaci. Nella seconda settimana il numero era raddoppiato: in 14 giorni il conto è di più di 507 persone.
Le autorità hanno smentito i dati e i numeri forniti dagli organi di informazione. Nel resoconto ufficiale, i media hanno sbagliato quando hanno riferito che gli omicidi nel 2010 sono stati più di 10 mila, e più di 30 mila negli ultimi quattro anni. Le cifre non si fermano e mentre le notizie sul Messico che fanno il giro del mondo sono scandalose ed incredibili, per i messicani sono semplicemente laceranti, visto che non c’è più un limite che valga, né autorità che possa fermare questa violenza atroce. Domenica scorsa, ad esempio, un gruppo armato di Ciudad Juàrez ha attaccato alcuni giovani che stavano giocando calcio in un centro della comunità, da poco riabilitato dal governo all’interno della strategia chiamata “Todos somos Juàrez” (tutti siamo Juàrez).
Nello scontro sono stati ammazzati sette ragazzini. Il giorno dopo, sempre a Ciudad Juàrez, un uomo della scorta del sindaco è stato assassinato dalla polizia. L’immagine dei ragazzini a terra, morti, fuori dal campo di calcio, sono eloquenti di ciò che sta accadendo in Messico. Giacciono sotto una parete dove si può leggere uno slogan del governo “Vivir Mejor” (vivere meglio). Uno slogan che adesso sembra una triste contraddizione dei nostri tempi nella città più violenta al mondo. Queste, purtroppo, sono storie che si ripetono ogni ora. Facendo scoprire realtà sempre più tragiche.
Oltre i morti ammazzati, infatti, quello che è ancora più preoccupante sono i sopravvissuti. Spesso vittime indirette. Così la depressione è arrivata ed è rimasta, perchè dietro ogni omicidio, ci sono famiglie, amici. Pronti a chiedere giustizia, ma rendendosi conto che questa non arriva, vedono nella vendetta una seria opzione. Negli stati come Chihuahua, Guerrero, Sinaloa, Durango, Nuevo León e Jalisco, dove è concentrata la maggior parte della violenza, esistono fenomeni già preoccupanti.
La vendetta non è più esclusiva dei gruppi criminali, anzi, è vista per una parte della popolazione come una possibilità di giustizia di fronte alla carenza di uno Stato incapace di far arrivare la pace. Il dolore che i nostri morti ci hanno lasciato, ci confonde e ci lascia con con poca speranza.
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