NEWS

Sostiene Lombardo

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Sostiene Lombardo, come della ‘ndrangheta ancora molto sia da scoprire, per quanto parecchio sia stato fatto in questi ultimi anni. Sostiene Lombardo, che i veri capi dei capi, siano adesso nascosti dietro identità sconosciute alle strutture tradizionali e persino alla stessa ‘Santa’, l’organo superiore ai semplici picciotti, preposta a prendere decisioni strategiche e di raccordo tra i vari clan, fino agli anni ’80. Sostiene Lombardo, che adesso i veri padrini fanno i professionisti, i professori, persino forse i sindacalisti, insomma di mestiere, gli insospettabili, e che tra di loro stessi si definiscano come gli “Invisibili”.

Sosteneva Lombardo, come da tempo nell’inchiesta “Bellu Lavuru” si capisse come i clan dovessero rifarsi a una struttura sovraordinata, per potersi coordinare, la Provincia; ma come per ogni appalto, per ogni grosso affare, la Provincia debba sempre sentire l’ultimo parere che conta: quello della “Mamma”. E dai tempi di Don Ntoni Macrì di Siderno, la “Mamma” sono sempre le famiglie della Locride. Sosteneva da tempo Lombardo, sentendo Enzo Macrì, ex procuratore nazionale antimafia, come le tendenze “federaliste” dei clan lombardi fossero consolidate da tempo; e come la Provincia avesse provato, anche con il sangue, a portare la pace negli ultimi anni.

Sostiene Lombardo come il potere della ‘ndrangheta sia qualcosa che rimanda ai casati nobiliari, un rigido sistema di trasmissione della linea di comando ai figli maschi; lo sostiene Lombardo, che la ‘ndrangheta la conosce da quando è nato , perché cresciuto a Monasterace, borgo di mare a due passi da Locri, dove ogni mattina il padre Rocco, uscito di casa, andava con la scorta al suo ufficio di Procuratore capo presso il tribunale; lo sostiene Lombardo, che fin da piccolo ha conosciuto l’impossibilità di poter vivere le stesse esperienze dei coetanei, perché figlio di giudice, cui non era consentito frequentare qualsiasi posto, o incontrare chiunque. Non a Locri, dove molti potrebbero strumentalizzare la vicinanza col figlio del Procuratore capo.

Sostiene Lombardo, che le ‘ndrine le ha viste da vicino, quelle più brutali, di potere, di San Luca e dell’Aspromonte fitto, che l’unico modo per combatterle oggi, è attaccare la linea dinastica del potere, quella che rimane pur nella grande commistione massonica che ha caratterizzato le ultime evoluzioni; attaccare – sostiene Lombardo – il vincolo di fedeltà del figlio al padre. Sostiene Lombardo, la mossa decisiva per scalzare il loro potere, passa attraverso l’esautoramento della patria potestà dei figli maschi dei boss. Bisogna togliere loro i figli, ma questo non lo sostiene Lombardo, non con queste parole almeno.

Tutto questo sosteneva da tempo il giudice Giuseppe Lombardo, ora sostituto procuratore presso la Procura distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, subito dopo l’esperienza a Vibo Valentia; un avvicinamento a piccoli passi ai temi scottanti vissuti fin dall’infanzia: la lotta dello Stato alle Mafie. Il pm Lombardo in 4 anni ha gestito alcuni dei dossier più spinosi della Dda dello Stretto: ha seguito da vicino le operazioni che hanno portato alla cattura di “U Supremu”, Pasquale Condello, è stato a lungo sulle piste dei De Stefano, ha intentato un processo complicato contro una delle cosche vincenti della guerra di mafia degli anni ’80: i Libri di Cannavò, collina che guarda Reggio e da cui volevano prendersi la città.

Un pm che in queste settimane sta gestendo fascicoli ancora più scottanti, come le dichiarazioni del “Nano” Lo Giudice e che stanno sconvolgendo il panorama criminale di questa ‘Ndrinopoli, ora che i procuratori coordinati da Giuseppe Pignatone ai 4 maggiori pentiti nella storia della ‘ndrina: lo stesso Lo Giudice, Roberto Moio, Consolato Villani e Paolo Iannò. Sosteneva Lombardo, per chi ha potuto sentire le sue discussioni da pm, nei processi sugli appalti pubblici, come la Sanitopoli che coinvolse la Asl di Vibo, o la più recente inchiesta “Bellu Lavuru” sull’ammodernamento della statale Jonica 106 ‘Reggio – Taranto’, che le ‘ndrine hanno già in mano sistemi raffinati per aggirare le legislazioni antimafia sugli appalti; ditte subappaltanti, consorzi che si aggiudicano singole tratte, per poi far perdere in tanti rivoli di subcontratti le tracce del coinvolgimento delle ditte della Locride, sempre le stesse, sempre di San Luca o Platì, sempre riconducibili agli stessi personaggi.

Come Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”, quasi un monopolista degli appalti sulla costiera Jonica. Aveva sempre sostenuto Lombardo, che il protocollo mafioso di divisione degli appalti segue una procedura: trovato un consorzio che venga da lontano, senza niente di riconducibile a famiglie calabresi, si stabilisce l’aggravio dei costi previsti per poter accontentare tutti: il 6% di tassa mafiosa. Che pesa sui costi dell’opera: il 3% va a chi si prende la briga di costituire il consorzio vincente, percentuali dello 0,5 per gli intermediatori locali che hanno costituito le ditte “pulite” che prenderanno i subappalti, e il 2% sul ricavato finale, per i subappaltatori finali, chi gestisce il cantiere.

Sosteneva il giudice Lombardo, che sulla fascia Jonica, come si legge nelle carte dell’inchiesta “Bellu Lavuru”, il sistema principe per aggirare i divieti antimafia era già in uso. E ha un nome: “Noli a freddo”. Ma cosa sosteneva Lombardo? Mettiamo che il consorzio pulito, una volta aggiudicato l’appalto, una grande ditta del Nord, reclami le difficoltà dell’affrontare i costi a trasportare tutto il necessario fin in Calabria. Si chiede così di ricorrere al “nolo a freddo”: l’appaltatore apre il cantiere dell’appaltatore, ma il subappaltante effettivo, che nei bilanci non compare, è chi presta tutti i macchinari necessari a far avanzare l’opera. Ed è ovvio, anche la manovalanza che quei macchinari sappia far funzionare. Ecco, come i Morabito, o i Papalia, si appropriano dei cantieri calabresi senza che nessuno chieda mai loro un certificato antimafia.

Aveva sempre sostenuto Lombardo che crescere figlio di un giudice ti abitua da piccolo a certe responsabilità, che chi invece diventa giudice provenendo da esperienze diverse, affronta per la prima volta. Sostiene Lombardo, riferisce chi lo ha ascoltato in privata conversazione, di non aver mai mangiato un gelato all’aperto nella natia Calabria. “Il primo cono goduto per strada, in gelateria, è arrivato dopo i 18 anni, dopo il trasferimento per l’Università a Roma”. Ma, sosteneva Lombardo, era buonissimo anche a casa, a Monasterace; anche quando arrivavano telefonate minatorie indirizzate al padre. Cosa volete che siano le due lettere di minacce con proiettili e il crocifisso nella buca delle lettere indirizzate al Pm dall’inizio dell’anno, quando fin da piccolo senti parlare delle minacce ricorrenti al sangue che ti ha generato, tuo padre?

Sosteneva Lombardo, di aver vissuto la fatica del frequentare amicizie che a quell’ambiente non appartenevano, come quando venivano a trovarlo da Roma gli amici dell’università; e magari chiedevano perché la sera non si poteva andare nelle discoteche dove si trovavano tutti gli altri adolescenti, o perché in spiaggia, si mettessero sempre da parte, e nessuno venisse a mettere i teli da mare vicino i loro. Sostiene tuttora Lombardo, come tutto questo non gli sia pesato: la consapevolezza che la minima leggerezza, può costare la vita a chi ti è più caro.

Sostiene, e sempre sosterrà, Lombardo, che la vera Antimafia adesso non può colpire altro che nella viva carne del potere mafioso: la trasmissione della carica mafiosa di padre in figlio; sostiene Lombardo, che l’unica speranza di sradicare la mentalità mafiosa, sia quella di sottrarre i figli ai genitori mafiosi. Lui, d’altronde, è l’unico giudice che lo abbia fatto, nella storia dell’ordinamento italiano: ha sottrato a Giuseppe De Stefano la patria pote
stà del figlio maschio, perché “come si può pensare di lasciare un bambino perché cresca in un contesto che altro non può fare di lui, se non un mafioso?”. La mafia, non è forse impostazione culturale, ci vuole dire Lombardo? Che cosa dobbiamo aspettare oltre, quando abbiamo tutti i segnali che si attende solo che il figlio cresca per affidargli il casato mafioso?

“Questi criminali mettono in conto che vengano loro sottratti dei beni, possono prevedere alcuni anni di carcere, ma su di una cosa non possono fare a meno di contare: il vincolo familiare”. Sostiene Lombardo, tante cose. Alcune ci aiuteranno a capire le ‘ndrine; altre a combatterle.

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link