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Castelvetrano, la città della mafia e non dei mafiosi

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Castelvetrano non è la città della mafia, è la città del boss latitante Matteo Messina Denaro. Castelvetrano non è la città dei mafiosi, è la città dove sono stati arrestati alcuni mafiosi. Castelvetrano è una delle prime città dove è nata l’associazione Libera, ma dove le indagini, e sentenze passate in giudicato, hanno dimostrato il consolidarsi di alleanze pericolose tra la politica, la mafia e l’imprenditoria, è la città dove veniva tenuto nascosto il tesoro di Totò “u curtu”, ovvero Riina, dove Bernardo Provenzano, arrivava fin qui da Corleone per vedersi con don Ciccio Messina Denaro. Provenzano era già latitante, ma non aveva problemi di muoversi, non ne ha avuti per oltre 40 anni facendo il “fantasma” per le strade della Sicilia. Castelvetrano è la città dove i bagheresi della famiglia Guttadauro si sono stabiliti grazie al rapporto di parentela stretto con i Messina Denaro, Filippo, fratello del medico Giuseppe ha sposato Rosalia, figlia e sorella di Francesco e Matteo Messina Denaro. Castelvetrano è la città dove un sindaco, Vito Lipari, nel 1980 è stato ammazzato alla vigilia del suo ingresso in Parlamento, e di un altro sindaco, Tonino Vaccarino, che è finito in carcere per mafia e droga, è stato condannato per traffico di droga, ed è poi diventato informatore dei servizi segreti come corrispondente del boss latitante Matteo Messina Denaro. Lo stesso che con i servizi segreti pare avesse una certa affinità sin dal dopoguerra al tempo in cui, erano gli anni ’50, lo Stato cercava un accordo col bandito Giuliano, ma era tutto un trucco per ammazzarlo e toglierlo di mezzo, così da mettere a tacere i segreti che poteva conoscere su quella che fu la prima trattativa tra Stato e organizzazioni criminali del dopoguerra.  Castelvetrano è la città del re del commercio, Giuseppe Grigoli, che per nulla preoccupato delle regole del pizzo che gli furono spiegate – così ha detto ai giudici che lo stanno processando –  dal suo migliore amico, Filippo Guttadauro, ha scalato il mondo del commercio arrivando ad aprire impiegando pochissimi mesi uno dei più grossi centri commerciali del trapanese. Castelvetrano è la città dei complici di Matteo Messina Denaro, quelli che parlano del boss tradendo una sorta di adorazione, devozione, non ci guadagnano nulla e forse non hanno nemmeno alcun salvacondotto a non pagare, e però dicono “u siccu va adorato”, “u siccu” è lui Matteo Messina Denaro, così lo chiamano, ma anche “olio” o “testa dell’acqua”, mentre l’iconografia giornalistiche che rischia stupidamente di farne ancora più un eroe lo ha soprannominato “Diabolik”, mentre lui nei pizzini di firma Alessio e racconta di sentirsi un perseguitato e attacca i magistrati che indagano su di lui dando loro, nei pizzini che scrive, dei Torquemada da strapazzo.  

 L’altra Castelvetrano 

Castelvetrano è la città dove in pochi anni è cresciuta la solidarietà per gli ultimi, per gli extracomunitari, ma anche quella dove per decenni ai tavoli da poker sedevano personaggi destinati a fare carriere diverse, chi politico, chi killer di mafia. Castelvetrano è la città dove Libera ha intestato la sua sede ai gemellini Asta, vittime della strage di Pizzolungo.  Castelvetrano è la città dove si fanno i cortei per la legalità col divieto di pronunziare la parola mafia. Castelvetrano è la città dei divieti che colpiscono i giovani, come a partecipare ad un incontro con un ex collaboratore di giustizia. E questo è il divieto che fa più male perché arriva da uno degli educatori più noti della città, il prof. Francesco Fiordaliso, che forse si è troppo arrabbiato perché magari in altre occasioni sue iniziative, altrettanto importanti, non hanno avuto quella ribalta che veniva adesso concessa all’ex pentito Calcara. Castelvetrano è la città dove un consigliere comunale per essersi pubblicamente augurato della veloce cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro si è visto bruciare la casa, ma si è visto anche isolato, dal suo stesso partito, il Pd, e poi dal resto del contesto politico. Castelvetrano è la città dove un ex consigliere comunale, marito di un ex assessore, Giovanni Risalvato, faceva politica e incontrava Messina Denaro, lui, come il prof. Vito Signorello, ex allenatore della Folgore, si lamentava di non potere stare a sufficienza con il latitante, Matteo diceva loro che erano più utili stando a Castelvetrano e non stando con lui, «mi potete aiutare più da lì». Castelvetrano è la città dove la crescita imprenditoriale è avvenuta per una parte all’ombra del boss, e con le fatture false, truffando la legge 488. Castelvetrano è tutto questo ma per arrivare a scrivere queste cose sono serviti decenni, perché fino a pochi anni addietro parlare di mafia a Castelvetrano si finiva col sollevare irate reazioni, prese di posizione risentite, mentre in città andava a venire il governatore Cuffaro, quello che diceva che la mafia faceva schifo, ma solo dopo essere finito sotto processo.  

Quella sala vuota a Castelvetrano

 E’ di questi giorni la forte polemica per il convegno disertato al Selinuns dove, organizzato dall’associazione antiracket, erano presenti il procuratore aggiunto della Dda Antonio Ingroia e l’ex pentito Vincenzo Calcara. Questi aveva espresso la voglia di parlare ai giovani suoi concittadini, Ingroia voleva sottolineare i passaggi di una magistratura che aveva aiutato la città a risvegliarsi e a crescere senza avere più come riferimento la mafia. Ma come è andata a finire è cosa nota. Come se fosse stata la prima volta. Ma non era la prima volta. Tanti altri convegni si sono svolti con le presenze di soli addetti ai lavori, con pochi giovani, eccezion fatta quando Castelvetrano fu attraversata dalla carovana antimafia di Libera, allora si che si videro tanti giovani e pochi adulti, pochissimi politici, la carovana non garantiva alcuna passerella e così i politici sono stati lontani. Cosa voglio dire? Voglio dire che occasioni per indicare le contraddizioni della città ce ne sono state diverse nel tempo, ma ogni volta che si è provato a farlo ci si è trovati tanti contro, il sindaco Pompeo a interpretare ogni cosa come un attacco alla città, ma alcuna autocritica. Eppure Castelvetrano per avere consapevolezza di tutto quello che di brutto l’ha invasa ci ha impiegato decenni e forse di più. Oggi a Marsala si processano Matteo Messina Denaro e Giuseppe Grigoli, ma c’è una sola parte civile costituita l’associazione antiracket di Trapani, Castelvetrano fa parte dell’associazione antiracket, ma siamo in attesa che il Comune si faccia promotore di un incontro, uno è fissato per il 16 febbraio, Pompeo ha già deciso, la sala sarà piena di giovani. E la sensazione è quella che ancora una volta sono giovani che pagano un prezzo, obbligati a non andare in una occasione, obbligati ad andare in un’altra, e la libertà che fine ha fatto?   Luci e ombre   Due cose sul convegno disertato vanno dette. Calcara da una parte e Vaccarino dall’altra se ne sono dette di tutti i colori. Irrispettosi di un luogo pubblico, quando invece stando insieme dentro un’aula di giustizia si sono guardati bene dall’affrontarsi in malo modo. Anche nel luogo del Teatro avrebbero dovuto mantenere un atteggiamento di rispetto nei confronti dei presenti. Non rappresentano dei modelli, ognuno ha delle storie da raccontare, e però debbono lasciare agli altri decidere se le loro possano essere storie esaltanti. Calcara è frutto di quella stagione dei pentiti dove però accadeva che alcuni venivano indottrinati dagli investigatori, erano a conoscenza di alcuni fatti, ma non completamente, quello era l’unico modo per incrinare il fronte mafioso. Presto le sue confessioni sono state surclassate
dalle confessioni dl altri uomini d’onore, quelli che hanno raccontato le stagioni delle stragi, degli accordi con la politica e l’impresa. Vaccarino resta il simbolo degli equivoci, lui dà spiegazioni a questi suoi comportamenti, parla di servizi segreti con i quali anche da giovane aveva a che fare, di una condanna ingiusta che lo ha portato a sfidare segretamente la mafia che lo ha rovinato. Parla bene di Borsellino e però racconta che il suo arresto nel 1992 scattò per avere “sparlato” del lavoro del magistrato che su di lui si ricredette alla vigilia del quel 19 luglio 1992. Parlava con Matteo Messina Denaro, ma quando è stato scoperto ha gettato quella maschera che nei pizzini si era ben guardato dal fare, chiedendo al boss di costituirsi in nome anche di quella figlia oramai cresciuta che vive con la madre a casa di Nonna Lorenza, la vedova di don Ciccio Messina Denaro che si augura che un giorno o l’altro scoppi il cuore di chi dà la caccia al figlio.

 Le notizie che non “fanno notizia” 

E però in questa stessa città finisce che di fatti più seri e testimoni della protervia di una mafia tutt’altro che vinta, se ne parla poco. Eppure gli argomenti ci sono: 22 milioni di euro, a tanto ammonta il maxi sequestro, l’ennesimo per il territorio di Castelvetrano, deciso dal Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani e che ha colpito uomini vicinissimi al boss latitante Matteo Messina Denaro.  Un sequestro che ha colpito quella parte di impresa che, secondo il Gico della Finanza, la Procura antimafia di Palermo e secondo i giudici del Tribunale, è diventata forte grazie all’appoggio di Cosa Nostra. Castelvetrano è uno dei pochi paesi della provincia che nel giro di un decennio ha conosciuto un picco di crescita dal punto di vista imprenditoriale, ma nello stesso tempo ha visto finire sotto sequestro diverse di quelle attività che nel giro di poco tempo hanno potuto realizzarsi, hanno dimostrato indagini della magistratura, grazie anche a truffe e raggiri rispetto alle quali la mafia non è rimasta in disparte. Gli ultimi sequestri fanno parte di questa serie: ci sono le imprese casearie di Mario Messina Denaro, il cugino del boss latitante Matteo, quello che secondo i giudici faceva in modo di mantenere «l’onore della famiglia» occupandosi di estorsioni.  Mario Messina Denaro coinvolto nell’operazione Golem è stato condannato a 5 anni ed ha avuto applicata una sorveglianza speciale per tre anni. C’è poi il campobellese Francesco Luppino, lo “zio Franco” quello che incontrava i latitanti Lo Piccolo per conto di Matteo Messina Denaro. E’ uscito dal carcere grazie all’indulto sebbene condannato per omicidio, ma all’epoca della sua condanna non c’era il 416 bis per cui dalle carte non risultava un mafioso. Fuori dal carcere si è potuto permettere di fare un grosso investimento, 200 milioni di vecchie lire, in uno stabilimento oleario, “Fontane d’Oro” di Campobello, anche questo sequestrato, come se in cella raccoglieva risparmi. L’oleificio poi era la base di smistamento dei “pizzini” e non tanto di smercio di bottiglie di olio. Altra figura centrale del controllo dell’intreccio mafia e imprenditoria è quella dell’anziano Leonardo Bonafede, fuori dal carcere non ha pensato a mettersi da parte ma ha cominciato ad occuparsi delle vicende mafiose, e con Luppino ha spartito secondo i giudici il bastone del comando.  

Messina Denaro «l’imprendibile»?  

Latitante dal 1993, in tutti questi anni il boss mafioso Matteo Messina Denaro si è pulito le mani dal sangue dei morti ammazzati e ogni indagine contro la sua cosca dimostra come ha saputo bene indossare la grisaglia dell’imprenditore. L’anno scorso la Polizia, con in testa la Squadra Mobile di Trapani, diretta dal neo promosso primo dirigente Giuseppe Linares, ha saputo colpire l’organizzazione dei favoreggiatori del capo mafia, con l’operazione denominata «Golem», adesso la Guardia di Finanza ha fatto i conti in tasca agli indagati e su richiesta della Procura antimafia di Palermo il Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani ha emesso l’ordinanza con la quale è stato sequestrato un patrimonio da 22 milioni di euro. I finanzieri hanno dimostrato che il patrimonio detenuto da alcuni degli indagati risultava essere «spropositato» rispetto ai redditi dichiarati, insomma tra le loro mani era sicuramente passato altro denaro, quello non dichiarato, quello che di solito serve a riempire le casseforti della mafia, in questo caso quella «potente» del super boss Matteo Messina Denaro. Latitante dal 1993, il giovane rampante mafioso se riesce ad essere ancora «imprendibile» lo è per questa rete di imprese e imprenditori creata, la cosiddetta «supercosa», cioè una mafia che si muove ad un livello più alto e riservato rispetto a quella degli «uomini d’onore». La mafia che «non si vede» e che «non turba» perché non commette delitti, ma distribuisce «favori», come l’assunzione di personale. L’altra mafia, quella che intimidisce le imprese con il fuoco per esempio, o con le armi, per imporre il «pizzo» non significa che ha dismesso le sue attività e non c’è più, c’è e spesso si fa sentire ancora. Perché di soldi alla mafia «sommersa» ne servono tanti e quindi il racket c’è sempre. Ma invece di parlare di questo si fanno le polemiche, e si lanciano strali l’uno contro l’altro, tra soggetti che dovrebbero stare dalla stessa parte. C’è qualcuno che ha detto che di questa situazione Matteo Messina Denaro ha avuto di che ridere, viene da dire che lui da ridere ha ben poco, gli hanno arrestato i complici, gli hanno tolto il controllo di diverse casseforti, stanno arrestando le sedie dove i suoi complici sedevano, come lui stesso aveva anticipato che potesse accadere, no lui non ride affatto, a noi viene da piangere invece quando ci rendiamo conto che continua ad esistere una classe politica non adeguata, e non solo a Castelvetrano, e attendiamo di piangere di felicità quando Messina Denaro verrà catturato, perché altro epilogo questa storia non potrà avere, nonostante tutto.

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