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I boss volevano uccidere il pm antimafia

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Cosa c’è dietro i 12 arresti della operazione ‘Hydra’ a Crotone, che hanno sgominato le nuove leve, su ordine del pm Dda Catanzaro Pierpaolo Bruni, dei Giampà-Vrenna? Pino Vrenna si è pentito da più mesi. Il clan di cui era il mammasantissima, lo vuole ‘far passare’ per pazzo, perché se no, si intuisce che qualcosa si sta sfaldando, nel granitico rapporto familiare che aveva saldamente messo le ‘ndrine calabresi al comando delle varie fazioni mafiose italiane. Al centro della scena, c’è un Pm coraggio, che per la Calabria intera è un mito, un esempio da seguire. Uno che non vedrete mai in tv o sui rotocalchi, che con i giornalisti non parla e che però porta a giudizio le indagini che inizia, riuscendo a ottenere quasi sempre condanne pesanti. Uno che, quando Roberto Saviano passa dalla Calabria, va sempre a salutare (insieme col procuratore Dda di Reggio Nicola Gratteri) per capire che aria tira nella regione.

E succede così, che ieri vengano arrestati nell’ambito dell’operazione ‘Hydra’ 12 componenti, a Crotone, dei clan egemoni della cittadina pitagorica, i Ciampà – Vrenna – Bonaventura, che stavano pianificando l’ennesimo attentato (il quarto da quando è in magistratura) del pubblico ministero Pierpaolo Bruni, da ottobre distaccato alla distrettuale antimafia del capoluogo Catanzaro, ma prima per un decennio in prima fila nel crotonese, con indagini che vanno dall’eolico (senza timore di inserire nei faldoni delle indagini, come posizioni da chiarire, presidenti regionali come Agazio Loiero o assessori all’Ambiente come Diego Tommasi; l’inchiesta è ora alla Dda catanzarese, pm Villani, andrà a giudizio in primavera) alle centrali a turbogas (facendo arrestare anche executive manager elevetici e indagare magistrati amministrativi regionali) a quelle elettriche, coinvolgendo anche manager di multinazionali dell’energia; fino ai veleni dell’ex impianto chimico della Pertùsola, da dove tonnellate di rifiuti contaminati da cadmio, arsenico e materiali velenosi vennero dirottati nei cantieri per essere smaltiti per rifare le strade provinciali e persino per gettare le fondamenta di alcune scuole medie nell’antica Kroton. 

Bruni non ebbe paura a richiamare in procura mezza amministrazione comunale e provinciale, nonché manager delle grandi aziende coinvolte nello stabilimento, come pure Eni. Se fate il nome di Bruni a Crotone, è come menzionare un personaggio su cui aleggia il vento del Mithos; santificato da poliziotti e carabinieri che gli fanno da scorta, lui che non ha vita privata, non ha vita familiare, da un decennio. Glorificato dagli attentati maturati negli anni: nel 2006, aveva appena sgominato un clan minore ma ricco, i ‘Papaniciari’ (dalla frazione crotonese di Papanice); un maxi-sequestro di droga e immobili per decine di milioni di euro. I Papaniciari decisero di preparargli un Primo aprile con lo scherzetto: oltre 50 kalashnikov in arrivo dai Balcani, quattro auto e due furgoncini, un gruppo di fuoco di oltre 20 killer disseminato sulla Statale 106 Crotone –Catanzaro.

Lo salvò un solerte carabiniere a fine turno che sulla via del ritorno a casa, vide il gruppo di fuoco pronto e fece in tempo ad avvisare la caserma, pochi minuti prima che la vettura blindata del giudice passasse dall’incrocio dell’agguato a Papanice. Negli anni successivi, gliela avevano giurata i Vrenna, dopo che con ‘Hydra’ Bruni ne aveva decapitato le tante teste. Tra 2007 e 2008, ritrovano sulla auto di questo calabrese di cui andare orgogliosi, un bel pacchetto in C4, esplosivo dei più potenti. Poi, sul suo motorino 12 pallettoni con il messaggio “Sono per te”. Bruni non si è fermato; e nel novembre scorso ha fatto confessare il boss storico Pino Vrenna. Un fatto senza precedenti tra le ‘ndrine: un capomafia, un mammasantissima che ‘’se la canta’’ a sbirri e magistrati? L’avvocato del clan provò una disperata difesa: «La famiglia non riconosce più il suo paterfamilias, Pino Vrenna sta dando segni di squilibrio mentale».

Se ti penti, sei diventato pazzo e un disonore da evitare, questo è il codice delle ‘ndrine.  Ma i 12 arresti di ieri, (delle squadre Mobile di Crotone, Cuneo e Verone, con i reparti speciali calabresi di Intelligence della polizia) per il tentato omicidio di Bruni, dimostrano come i clan crotonesi siano al muro e molto nervosi. Antonio Vrenna, figlio del boss, a dicembre inviò una missiva allo stesso Pm per tracciare il solco tra la famiglia e l’ “infame che si è pentito”: «Apprendiamo con sdegno della decisione di mio padre,  non rimane che una spiegazione, deve essere diventato pazzo». Avvisano di aver intentato una azione legale per il disconoscimento, la moglie annuncia che chiede la separazione; la famiglia rifiuta il programma di protezione destinato ai familiari di un pentito: non vuole addosso il bollo della “infamia” per  “cu si penti”. I clan di Crotone da allora stanno sul chi va là.

Un nervosismo che in zona si notava da giorni da vari episodi: a Rossano Calabro martedì notte un pregiudicato Sandro Greco, del paesino adiacente di Castrovillari, ha forzato un posto di blocco dei carabinieri , rimanendo ucciso dalle pallottole dei militari che lo hanno inseguito. Ieri si è anche costituito in caserma Gianfranco Giordano, accusato di aver ucciso due fratelli, Alfredo e Giuseppe Grisi, residenti a Verona, per degli scooter Quod, pagati con assegni scoperti. Intanto anche a Reggio, sullo Stretto, al sindaco uscente e facente funzioni Peppe Raffa, è stata inviata una busta con  13 pallettoni e minacce di morte, la seconda, dopo un’altra busta con polvere da sparo in agosto; forse per la pulizia che Raffa, passato al Terzo polo, ha fatto della amministrazione comunale in precedenza Pidiellina. «I pallettoni? Una diatriba interna alla destra», ha ironizzato pesantemente un esponente del centrosinistra cittadino che vuole restare anonimo…

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