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Il primo sangue di Scopelliti

Di Lorenzo Frigerio il . Calabria, Recensioni

Raccontare la storia del giudice Antonio Scopelliti, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione e ucciso da killer mafiosi il 9 agosto 1991 a Campo Calabro, è stato come scalare una montagna altissima. Con questa metafora l’autore Aldo Pecora ci racconta il suo viaggio all’interno di uno dei delitti eccellenti meno noti nel nostro Paese, quello del magistrato considerato il “Falcone calabrese”. In apertura vengono richiamate proprio le parole del giudice: «Ma dove sta la verità? È come una rocca situata in cima ad un monte e l’uomo non ha ali per raggiungerla. Egli non può che aprirsi la strada a fatica, su per le pareti, e spesso si smarrisce e spesso si insanguina le mani. Ciò che lo guida, ciò che lo conforta e lo sorregge è la bellezza di quella meta che gli risplende da lontano».

Ancora oggi raccontare la verità sull’omicidio di Scopelliti è impresa faticosa, perché l’accertamento giudiziario di quella che è una incontrovertibile verità storica non è stato possibile e, incredibilmente, dopo i diversi gradi processuali previsti dall’ordinamento, mandanti ed esecutori sono ancora a piede libero. Com’è possibile per uno Stato come il nostro, che voglia ancora fregiarsi del titolo di democrazia, pensare di non avere raggiunto alcuna certezza sulla vicenda, condannando quanti hanno voluto l’omicidio del giudice Scopelliti? “Primo sangue” è un libro ben scritto e altrettanto documentato, ma soprattutto è dotato di una vera anima: tre elementi tutti preziosi e difficilmente rintracciabili nello stesso testo, soprattutto quando ad essere raccontate sono storie di mafia e di antimafia.

In questo caso la fortunata miscela è ottenuta e il libro si accredita come testo fondamentale per chiunque voglia sapere cosa è realmente successo nel nostro Paese, nel terribile passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. L’autore è uno di quei giovani calabresi che, all’indomani dell’omicidio Fortugno, hanno gridato forte la loro indignazione, manifestando contro le cosche della ‘ndrangheta e chiamando a raccolta le migliori energie per salvare la Calabria dalla morsa criminale. “E adesso ammazzateci tutti”, il terribile slogan che fu coniato allora in quell’occasione, oggi è il nome di un movimento giovanile che, partendo proprio dalla Calabria, si va estendendo in tutta Italia, spesso grazie ai tanti originari di quella bellissima e sfortunata terra che se ne sono andati in cerca di un futuro migliore.

È “Primo sangue” un libro che arriva prima al cuore e poi alla mente, perché gronda lacrime e sangue; un libro che non tocca le corde della retorica ma si presenta duro e spigoloso in alcuni passaggi per nulla scontati. “Primo sangue” è il prezioso frutto dell’incontro dell’autore con la giovane figlia di Scopellitti, Rosanna, per molti anni costretta all’anonimato per volere della famiglia che intendeva proteggerla così da possibili ritorsioni criminali. Dall’iniziale fiducia e dalla successiva amicizia è nata una comune passione civile e oggi Aldo e Rosanna girano per le scuole d’Italia a raccontare chi era quel giudice lasciato solo dallo Stato, anche dopo la morte.  Non è  stato facile per Rosanna il racconto del dolore personale e familiare, seguito alla tragica scomparsa del padre: oggi, se lei è riuscita a vincere la resistenza a rivivere quei momenti terribili è perché ha raggiunto la consapevolezza dell’importanza civile della testimonianza.

Scrive Rosanna nel libro: «Non accetto volentieri la definizione di eroe quando si parla di papà. Anzi, sono sempre molto attenta a sottolineare la normalità delle sue scelte…Credo che mio padre sia piuttosto un martire, un uomo che, conscio dei pericoli che correva, ha deciso di andare incontro a una fine annunciata, con coraggio e determinazione. Un uomo che ha scelto, nel momento in cui ha indossato la toga per la prima volta, di servire lo Stato con passione, amore e dedizione, nonostante tutto, fino alla fine, al di sopra di ogni cosa». «Al di sopra di ogni cosa»: anche della propria famiglia, sacrificata in più di una circostanza, ma oggetto di piccole e grandi attenzioni ogni volta che fosse possibile per il magistrato trovare conforto nel calore degli affetti.

Questo libro è importante perché oltre a tenere viva la memoria di uno di quegli italiani che fanno degno il nostro Paese di essere vissuto, tenta di spiegare che la stagione stragista e la successiva trattativa tra Stato e istituzioni deviate non parte nel 1992, bensì l’anno prima, quando Scopelliti viene tolto di mezzo violentemente. Per troppo tempo siamo stati abituati a credere che l’avvio delle stagioni delle stragi coincidesse con la conferma in Cassazione della sentenza di primo grado di maxiprocesso, avvenuta il 30 gennaio del 1992. In realtà, proprio l’assassinio del sostituto procuratore Scopelliti è il “primo sangue” di una stagione che vede i corleonesi sferrare il loro ultimo attacco disperato allo Stato, con la speranza e la convinzione, che veniva loro molto probabilmente dai contatti avviati durante la stagione della trattativa, di riuscire con l’esercizio della violenza a traghettare verso la seconda Repubblica, spuntando concessioni legislative, revisioni processuali e sconti di pena.

Scopelliti è il vero ostacolo insormontabile che la mafia trova sul suo cammino: sanno gli uomini di Cosa Nostra che il magistrato calabrese è uomo integerrimo, tutto d’un pezzo e se lui sosterrà le ragioni dell’accusa in Cassazione, non possono sperare di spuntarla in quello che è stato definito “il processo del secolo”. È proprio il suo curriculum professionale all’interno della Suprema Corte a non lasciare scampo alcuno alle aspettative dei boss.

Gli emissari delle cosche forse tentano di avvicinarlo per ammorbidirne le convinzioni? O provano addirittura a corromperlo? Questo è uno dei misteri che ancora oggi costellano la storia della ricostruzione delle vicende che culminarono nell’appuntamento con la morte. Quel che è certo che l’omicidio Scopelliti per il fatto di essere consumato in Calabria è frutto dell’accordo criminale tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Non è assolutamente possibile che l’eliminazione di un uomo così importante sia potuto avvenire all’insaputa delle cosche calabresi. Che, al contrario, beneficiano della mediazione dei capimafia siciliani per porre fine alla guerra intestina che le stava mandando in rovina, sottraendo loro energie e risorse umane ed economiche.

Nel libro si prefigura quasi una sorta di staffetta tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta, da quel momento lanciata alla conquista del mondo intero, grazie all’avvio del traffico di stupefacenti su scala internazionale. Se oggi le cosche calabresi detengono il monopolio del narcotraffico, le ragioni di questa scalata vanno trovate in quegli anni e nel contesto in cui maturò l’omicidio Scopelliti, come viene confermato da due magistrati esperti come Salvatore Boemi e Nicola Gratteri, le cui interviste chiudono il libro.

La speranza è nel raggiungimento della verità storica e processuale su quanto avvenne allora. La speranza è che alcuni dei boss catturati negli ultimi anni – da Giorgio De Stefano a Pasquale Condello, passando per Giovanni Tegano – decidano di rompere il muro d’omertà che hanno costruito attorno ai loro imperi criminali e collaborino con la giustizia restituendo verità e giustizia a quel giudice che tanto amava il suo lavoro da perdere la vita in nome di uno Stato che, fino ad oggi, non ha fatto nulla per onorarne la memoria.

In chiusura, ancora le parole di Rosanna Scopelliti, alla quale tutti noi, in qualità  di cittadini italiani, dobbiamo sicuramente qualcosa: «Finalmente, attraverso un percorso tortuoso, ho trovato la forza per affrontare e metabolizzare il mio dolore e si è delineata quella che per me ormai è una necessità:
far rivivere papà raccontando questa storia, anche perché sono convinta che dietro il suo assassinio c’è una verità che è stata spazzata via con precisione scientifica. E non avrò pace finché non l’avrò scoperta».

Aldo Pecora
PRIMO SANGUE
Rizzoli, Milano 2010
pp. 248
€ 10,50

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