Il “laboratorio” siciliano delle relazioni pericolose
Cambiare tutto perché nulla cambi. In Sicilia sembra un destino inevitabile per la politica. Da Portella della Ginestra alla cosiddetta “Trattativa”, sino ai delitti politico – mafiosi, inchieste e processi raccontano di una mafia in grado di “dialogare” con le istituzioni centrali, di ricoprire un ruolo di primo piano e decidere le sorti del Paese. Cosa nostra e gli interessi pubblici si sono da sempre incontrati al tavolo dei governi locali, con un occhio alla capitale e i suoi potentati. Sono una cinquantina le amministrazioni comunali sciolte per mafia nella regione. Catania e Palermo le province che fanno registrare il maggior numero di Comuni interessati dal fenomeno. L’ultimo caso a Furnari, provincia di Messina, a seguito di una indagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia, nei confronti della famiglia mafiosa dei “Mazzarroti” che avrebbe dirottato voti a favore della maggioranza durante le amministrative del 13 e 14 maggio 2007.
Il clan aveva messo le mani anche sulla vicina discarica di Mazzarrà Sant’Andrea (Me), la più grande della provincia. Dalla condanna dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, per concorso esterno in associazione mafiosa, a quella, in appello, dell’ex governatore Salvatore Cuffaro, la storia del “laboratorio” siciliano delle relazioni pericolose nonha fine. Anche l’attuale presidente della Regione, Raffaele Lombardo, sarebbe coinvolto in una inchiesta con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ombre e sospetti smentiti dal procuratore di Catania Vincenzo D’Agata che è intervenuto per spiegare che «le indagini sono in corso ma che alcun provvedimento è stato emesso nei confronti del governatore».
Dall’aprile del 2008 Lombardo ha già formato quattro diversi governi. L’ultimo con l’appoggio esterno del Pd, sfoderando la nomina di “tecnici” impegnati nella lotta alla mafia. Programmi di innovazione, legalità e trasparenza sono stati il leitmotiv di una esperienza, complessa e frammentata ma l’inchiesta “Iblis” ha portato alla luce il sospetto di “sostegni elettorali” dei boss alla famiglia Lombardo. Il governatore, intanto, si è dichiarato estraneo alle vicende. Lombardo, un tempo alleato del democristiano “Totò Vasa Vasa”, pare aver dichiarato guerra, sulla carta, ai sistemi di potere che gestivano rifiuti e sanità, durante la presidenza Cuffaro. Un governo che vorrebbe liberare dalla mafia economia e politica è sospettato di agire all’ombra di rapporti con i clan. Se dovessero essere provate le circostanze emerse a carico di Lombardo, la Sicilia si dimostrerebbe “laboratorio” dell’imprevedibile.
Il leader del Mpa, secondo il giornale Sudpress.it, sarebbe, inoltre, coinvolto in una maxi-inchiesta sulle promozioni facili al Comune di Catania. Agli atti della magistratura etnea figurerebberole delibere e il ruolo svolto da Lombardo come vice sindaco e assessore al Personale. Con questa inchiesta, ancora da verificare, si allunga la lista delle indagini su politici, illegalità, corruzione e rapporti con mafiosi. Un quadro sconfortante, anche se non bisogna mai dimenticare quegli amministratori e uomini politici seriamente impegnati in un’attività di contrasto alle mafie.
In Sicilia come ricorda nei suoi libri lo scrittore Alfio Caruso: c’è una classe politica che: «Ha accettato in cambio di poche briciole lo scempio della propria isola», nella consapevolezza che «più di tutti governa il Psu – il partito unico dei siciliani». Un’ideologia trasversale che accomuna i partiti, fatti a immagine e somiglianza dei propri elettori, tenuti insieme da un unico e supremo interesse: il potere.
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