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“La forza del sacrificio. Il dovere della memoria”

Giuseppe Muti * il . Cultura, Istituzioni, L'analisi, Lombardia, Mafie, Memoria, Politica

42 anni fa L’ecidio di via Carini a Palermo non è stato solo il drammatico atto conclusivo della biografia eroica di Carlo Alberto dalla Chiesa.

È stato anche il punto di partenza del moderno movimento antimafia civile, fondato dai parenti delle vittime e subito sviluppatosi in una rete di associazioni e comitati impegnati nel sostegno alle vittime della violenza mafiosa, nel sostegno alle istituzioni di contrasto e nelle pratiche di memoria a commemorazione delle vittime innocenti.

In effetti il sistema di potere mafioso si basa sulla violenza e sul segreto. E la società italiana soffriva, e in buona parte soffre ancora, di una rilevante “amnesia sociale della mafia” ovvero di una “rimozione” – sia a livello politico che socio-economico – della consapevolezza sulla natura violenta e criminale delle relazioni mafiose.

Per questo “la memoria delle vittime e della violenza mafiosa” è così importante, e proprio dal 1982 si afferma come il tessuto connettivo che unisce il movimento antimafia, l’universo simbolico che spiega lo scopo e orienta le iniziative del movimento antimafia civile.

Di questo vorrei parlare brevemente, a partire da due punti: 1) una ricerca in corso sulle strade dedicate alle vittime innocenti della mafia studiate in quanto “luoghi di memoria”. 2) Questo luogo di memoria (la lapide commemorativa di Piazza Diaz, a Milano) presso la quale ci ritroviamo ogni anno nel ricordo condiviso di Carlo Alberto dalla Chiesa, di Emanuela Setti Carraro e di Domenico Russo.

Partiamo da questo secondo punto. Che cosa fa di questo angolo di Milano un luogo della memoria? Non solo o non tanto la stele dedicata al generale, che infatti è una fonte ricorrente di controversie perché nascosta dai motorini e dalle biciclette parcheggiate. I luoghi ci spiega la geografia sono spazi relazionali plurali e instabili, prodotti e riprodotti, di volta in volta, dalle relazioni (e quindi dalle identità) che ivi si intrecciano.

Ciò significa che siamo tutte e tutti noi, qui, adesso, assieme, a dare senso a questo spazio commemorativo e a produrre questo luogo della memoria, che, nonostante la presenza della targa, sarebbe altrimenti solo una coordinata geografica.

È, insomma, il movimento antimafia civile che, attraverso le pratiche di cittadinanza attiva, da senso e continuità alla memoria collettiva antimafia.

Torniamo al primo punto. Dalla ricerca sulle strade dedicate alle vittime innocenti delle mafie, emergono alcune riflessioni di interesse sulla memoria antimafia e sulle sue pratiche sia civili che istituzionali.

Innanzitutto dallo studio dei casi empirici si nota che la memoria antimafia può essere:

– Sia una “contro-memoria” che sfida il discorso dominante (l’amnesia sociale della mafia) producendo istanze spaziali di resistenza urbana e di educazione civica. In questo caso, i nomi delle strade antimafia sono un vero e proprio “bene comune”.

– Sia una pratica del tutto formale utilizzata dalle amministrazioni per sbandierare pubblicamente il loro impegno nella lotta alla criminalità organizzata.

– Sia, infine, una strategia di “mafia-washing” che consolida l’amnesia sociale mentre finge di combatterla.

Vediamo qualche statistica e qualche caso di interesse.

Nel 2020 esistevano oltre 6.500 “strade antimafia”, distribuite in 2.360 comuni in Italia in tutte le province e regioni. Ciò significa che nel 70% dei comuni italiani, che rappresentano un terzo della popolazione, non esisteva alcuna strada associata alla memoria antimafia.

La Sicilia è la regione con il maggior numero di strade antimafia – quasi 1.700 – (per il 25,8%). Seguono la Lombardia 937 (14,3%), l’Emilia Romagna 599 (9,1%). Ma, come detto, non tutte le commemorazioni sono uguali.

È significativo ad esempio che nelle regioni a storica presenza mafiosa come la Calabria e la Campania le vittime della ndrangheta e delle camorre siano poco o nulla commemorate, mentre lo sono ampiamente le vittime di cosa nostra siciliana. Ciò dimostra che l’amnesia sociale delle mafie continua a caratterizzare numerose relazioni politiche e culturali.

Carlo Alberto dalla Chiesa è la vittima con il maggior numero di commemorazioni odonomastiche. Oltre mille, presenti in tutte le province e in tutte le regioni. Le commemorazioni a dalla Chiesa a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino costituiscono più della metà di tutte le vie dedicate alla memoria antimafia in italia. Le prime venti vittime per numero di commemorazioni coprono quasi il 90% di tutte le strade della memoria antimafia.

Ciò significa due cose:

– Delle circa 1000 vittime ricordate da Libera, solo 270 sono commemorate da strade antimafia. La memoria è fortemente polarizzata su alcune figure di eroe/martire che possono anche avere effetti controproducenti, lasciando intendere che la lotta contro la mafia sia un impegno eccezionale piuttosto che un continuo sforzo quotidiano, e che a condurla debbano essere eroi solitari, tanto straordinari quanto sacrificabili.

– Sono commemorate soprattutto le vittime la cui memoria è rafforzata da prodotti mediatici in grado di elevare il nome della vittima a vera e propria icona culturale. Ciò significa che spesso le politiche di commemorazione dei comuni si concentrano su figure celebri in grado di garantire un ritorno di immagine più elevato ed immediato, rafforzando in maniera circolare i problemi prima accennati. (Non tutte le commemorazioni sono uguali).

Uno dei dati più importanti ci dice che, delle 268 vittime commemorate solo diciotto sono donne e 20 minorenni (e 5 appartengono ad entrambe le categorie).

Solo 300 strade sono complessivamente intitolate a donne. Ilaria Alpi, Emanuela Loi, Francesca Morvillo ed Emanuela Setti Carraro sono le vittime con più commemorazioni ma, in generale, le donne sono poco ricordate nei paesaggi urbani nazionali e molte intitolazioni della memoria antimafia assumono contorni sessisti, laddove le vittime sono definite come il partner subordinato di una coppia.

Per quanto concerne i minorenni, invece, l’unica vittima commemorata a livello nazionale è il giovane statunitense Nicholas Green, al quale sono dedicate più del doppio di tutte le altre strade dedicate a tutti gli altri bambini vittime innocenti di mafia in Italia (21 in totale, tutte solo in Sicilia).

Milano, infine. L’unica metropoli globale italiana offre un esempio di commemorazione antimafia spesso formale e acritica, guidata da narrazioni istituzionali redentive e da scelte politiche più orientate a sostenere l’immagine della città come centro produttivo nazionale che a supportare gli sforzi antimafia delle forze dell’ordine e della società civile.

Le strade della memoria antimafia sono solo 5, si trovano nella periferia della città e recano iscrizioni generiche che non fanno esplicito riferimento alla violenza mafiosa. L’unica in posizione centrale è Piazza Giorgio Ambrosoli, commemorato come “avvocato”. Via Peppino Impastato è la dedica più recente e l’unica che riporta in epigrafe “vittima della mafia”. Nel 2021, la giunta ha inaugurato piazza Piersanti Mattarella con grande attenzione mediatica, ma la commemorazione al “presidente della regione Sicilia” ha poco a che fare sia con la storia locale di Milano, sia con l’animo che con gli obiettivi del movimento antimafia.

Il giardino intitolato a Falcone e Borsellino, al cui storia è ben nota a tutte e tutti, è interessante sia come “luogo di memoria spontaneo” (sorto grazie alle iniziative dei comitati di quartiere e degli studenti del vicino liceo) sia come forma di “marketing politico” (strumentalizzato goffamente dalla giunta dell’epoca). Parlando di “amnesia sociale della mafia” questo caso ci ricorda come la presenza delle mafie a Milano sia ancora per molti versi un “elefante nella stanza”, ben visibile ma di cui si preferisce parlare il meno possibile.

Più in generale la dedica commemorativa di parchi e giardini è una strategia spesso sfruttata dalle amministrazioni comunali -non solo milanesi- (soprattutto in ambito di memoria di genere e memoria antimafia) perché ha un alto ritorno di immagine, ma richiede un minore sforzo politico ed è poco costosa. Essa tuttavia è molto meno efficace nel riverberare il nome e la memoria della vittima nel paesaggio urbano ed ha effetti civici e pedagogici molto più limitati.

In conclusione, dal 1982 il movimento antimafia sia civile che istituzionale ha svolto molto lavoro (una mole incredibile per qualità e quantità) ma molto ne rimane ancora da fare.

Il movimento antimafia civile è uno dei principali movimenti collettivi in Italia e ha dimostrato la capacità di produrre relazioni civiche “rivoluzionarie”. A partire dall’ecidio di Via Carini, 42 anni fa, il movimento antimafia civile si è rivelato fondamentale nel contrasto alle mafie e ha guidato un cambiamento culturale a livello nazionale, promuovendo la memoria e l’azione collettiva.

I luoghi di memoria in generale, e le politiche di denominazione e di ri-denominazione delle strade in particolare, sono un’efficace strategia di contrasto alle mafie, sulla quale gli attori sia istituzionali sia soprattutto civili potrebbero investire maggiormente.

In maniera più coordinata, per consentire ai comitati antimafia di base di ottimizzare il loro impatto a livello locale, ma anche in maniera più spregiudicata (attraverso la “guerriglia” odonomastica ad esempio) per contrastare l’inerzia e la pigrizia delle istituzioni municipali, che in queste pratiche della memoria vedono spesso più un costo economico e amministrativo, che un’occasione di rinnovare il paesaggio urbano e con esso le percezioni, le relazioni socio-spaziali e i sentimenti della cittadinanza verso il proprio luogo di residenza.

* Docente di geografia politico-economica, Università dell’Insubria

Testo dell’intervento reso in occasione dell’iniziativa “La forza del sacrificio. Il dovere della memoria”

Streets of memory: Urban practices of civil antimafia resistance

giuseppe.muti@uninsubria.it

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