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Cosa c’è dietro l’attacco politico alle “specialità” della legge La Torre

Emilio Miceli * il . Costituzione, Diritti, Economia, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica, Società

A mio avviso al movimento antimafia di Palermo serve costruire una piattaforma condivisa sul “qui ed ora”, poiché le preoccupazioni di un assalto generalizzato da parte del Governo all’insieme degli strumenti di legge che hanno permesso a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme a tanti altri magistrati, di istruire i grandi processi a Cosa nostra, incarcerare migliaia di mafiosi colpendo i loro patrimoni e mettere le basi per la sconfitta dell’ala corleonese della mafia, sono legittime.

La domanda di buon senso è: ma se gli strumenti hanno funzionato e prodotto effetti, perché cambiarli? Ecco, appunto, qui sta la particolarità della mafia in terra di Sicilia: è un aspetto del potere; interferisce con il potere; scambia con il potere; fa affari con il potere. “Fenomeno delle classi dirigenti”, per dirla con Terranova e La Torre del 1976…

Il cuore dell’assalto è la “specialità” della legge La Torre. È un attacco politico a tutto tondo e con questo attacco dovremo misurarci nei prossimi mesi.

Negli ambienti del Governo e del Parlamento di questo si discute. I punti di attacco sono due:

– la riforma del cosiddetto 416 bis, perché si riterrebbe pericoloso un reato di mera partecipazione a Cosa nostra (ricorda forse troppo da vicino quello di ricostituzione del disciolto partito fascista?);

– l’attacco alle misure di prevenzione, perché lesive, deduciamo, del diritto alla proprietà in assenza di una condanna. E poi, come noto, le intercettazioni, l’abuso d’ufficio e la prescrizione. Nordio sta procedendo con grande determinazione. Perché? Perché intercettazioni e abuso d’ufficio sono strumenti che permettono di capire il livello di relazione anche delle organizzazioni mafiose con il sistema pubblico e dunque con la politica. Sulla prescrizione in questi anni si sono già esercitati.

Il Governo Meloni, questo mi sembra il problema, sta tentando di affondare il bisturi nel corpo vivo della legislazione antimafia, che è proprio quella che ha permesso la sconfitta della cosa nostra palermitana e siciliana nella versione corleonese ed eversiva.

Altro che battesimo politico in via D’Amelio per la giovane Meloni. Si chieda: ma Borsellino sarebbe d’accordo? No, si sarebbe opposto con tutte le sue forze.

Aggiungerei: di fronte al radicamento delle organizzazioni mafiose al Centro-nord, perché smantellare l’impianto culturale e giuridico della legge La Torre? Cosa si intende difendere? E perché? Perché correre il rischio di una gigantesca “miscelazione”, al Nord, tra economia legale ed economia extra legale? Stiamo parlando del cuore del sistema economico, logistico e produttivo del paese. I processi fin qui svolti, a partire dal processo Aemilia, le iniziative della procura di Milano sulle imprese di logistica, della vigilanza e della grande distribuzione ci dicono che al Nord è cresciuto il malaffare ed è cresciuta esponenzialmente l’infiltrazione delle grandi famiglie mafiose della Calabria e del resto del Meridione. La criminalità organizzata ha oggi una dimensione pienamente nazionale. Il Governo non ha preoccupazioni in merito?

Torno al Movimento antimafia palermitano e nazionale. Sono sufficienti o no queste preoccupazioni per cogliere il punto essenziale dello scontro odierno e chiedere, a tutti, di fare una battaglia comune che riguardi i pericoli dell’oggi? Ai cittadini, innanzitutto, alle associazioni antimafia e alle organizzazioni sociali.

Certo, anche io vedo come si “involvono” i processi aperti. Sono anch’io preoccupato che il cuore delle stragi possa essere stato “solo” una vicenda di appalti, come si vorrebbe fare intendere. Anche io trovo mortificante che vicende enormi che hanno minato le fondamenta del paese, grandi stragi che hanno avuto un impatto internazionale e hanno deturpato l’immagine dell’Italia, vengano rapidamente riportate alla dimensione regionale e legate ai flussi di spesa pubblica e agli appalti. Tra l’altro sotto l’“imprimatur” del generale Mario Mori, che deve difendersi, com’è legittimo, in un processo mentre sembrerebbe protagonista in un altro.

Non c’è dubbio che l’Italia non sarà un paese realmente sovrano e pienamente democratico fino a quando non avremo una verità decente sulle stragi di Portella della Ginestra e di via d’Amelio, simbolicamente due stragi che aprono e chiudono un lungo processo storico e scandiscono le tappe della conquista e della crisi della democrazia in Italia.

Inutile qui ricordare la tremenda scansione di eventi tragici che ha segnato la storia dell’eversione, della stabilizzazione e del disfacimento del sistema politico italiano. Ci sarà, speriamo, una lettura processuale e una ancora più rilevante lettura politica e storica.

A mio avviso, non possono essere solo coincidenze temporali quelle di assistere, in rapida successione, allo scioglimento di Gladio piuttosto che al disfacimento dei partiti, tutti, nati dalla resistenza; la tangentopoli italiana e il trattato di Maastricht, e tanto ancora…

Mentre Giovanni Falcone e Paolo Borsellino saltavano in aria la Germania comunicava all’Italia il diniego ad acquistare titoli di Stato, decretando di fatto l’insolvibilità del paese; si interrompevano le comunicazioni a Palazzo Chigi e nel corso di un anno si produrranno, con Amato e con Ciampi, due accordi sindacali che aboliranno la scala mobile cambiando la struttura retributiva di tutti i lavoratori italiani. E poi le dimissioni di Cossiga e l’elezione di Scalfaro! Insomma, l’Italia, in quella fase, era sotto pressione e tutte le forze eversive erano in libertà. La Dc era stata il perno del sistema politico istituzionale per 50 anni ed era schiantata sotto il peso di Tangentopoli. Tutti in libertà, dunque, pronti a mettere le mani sulla ricostruzione del paese, come nel 1945, ma in direzione opposta! Per non parlare dei piccoli e grandi misteri irrisolti: la cassaforte del generale Dalla Chiesa, la ritardata perquisizione del covo di Riina, l’agenda rossa di Borsellino.

Fatti inquietanti avvolti nel mistero che ci dicono come nelle stragi, tutte, e nei grandi avvenimenti giudiziari non c’è mai stata né linearità né unità politica né operativa.

Non intendo scrivere l’ennesima spy story, mi interessa poco e c’è tanta gente più adatta a farlo, ma quelli furono anni davvero eccezionali e trovo avvilente pensare che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengano uccisi, e in quel modo, per una storia di appalti e di spesa pubblica regionale! Il teorema è debole, è pericoloso e sono convinto che alla fine sarà dato, anche sul piano processuale, l’onore dovuto per il loro sacrificio.

È giusto e necessario, dunque, chiedere che il paese faccia chiarezza e la giustizia sia imparziale. Ciascuno di noi deve fare la sua parte, per quello che può e sa fare, per contribuire alla verità, ma tutti insieme dobbiamo impedire che una classe dirigente largamente ai margini della costruzione dell’edificio repubblicano, riporti indietro il paese, lo trascini di nuovo in una terra di mezzo grigia, in cui malaffare, malversazione delle risorse pubbliche, criminalità e clientela tornano a mescolarsi.

Alla fine, mi viene da dire, quello che hanno in mente è proprio questo: allargare le fasce grigie in modo da tornare a non distinguere più i colori. Abbiamo tutti una responsabilità e la dobbiamo usare fino in fondo.

* Presidente del Centro studi Pio La Torre

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