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Il falso pentimento dell’ex boss Schiavone. Occasione persa, ma la sfida contro i clan va avanti

Renato Natale * il . Campania, Diritti, Istituzioni, Mafie, Politica

La Procura di Napoli ha deciso di interrompere il percorso di collaborazione avviato tre mesi fa dall’ex capoclan Francesco ‘Sandokan’ Schiavone. Le dichiarazioni finora rilasciate non sono utili: ritorna al 41 bis. Le reazioni sono state diverse: c’è chi non ci aveva mai creduto; chi confidava troppo nelle sue rivelazioni; chi pensa che i pentiti abbiano solo una parte nella sfida contro le mafie, spesso non determinante.

Cosa poteva raccontare l’ex boss, perché poteva aggiungere informazioni sulla potente organizzazione criminale che ha comandato, quanto influisce la sua decisione nella comunità casalese? Le risposte nel contributo di Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe, che ha conosciuto bene la pericolosità criminale del soggetto e le conseguenze delle azioni del suo clan nel territorio.

Francesco Schiavone ha rivestito un ruolo fondamentale negli assetti criminali degli anni ’80 e ’90 come capo clan e ha seguito da vicino le vicende dei capi precedenti. Di quel lungo arco di tempo abbiamo saputo molto dalle dichiarazioni dei pentiti, ma soprattutto dalle inchieste della magistratura, dalle indagini delle forze di polizia e dalla reazione della popolazione del territorio nel quale una delle organizzazioni criminali più potenti d’Europa ha operato.

L’informazione che ancora manca

Non tutto, però, è ancora chiaro ed evidente. Mi riferisco in particolare al rapporto tra i clan e quel mondo grigio che comprendeva rappresentanti della massoneria, della politica, dell’imprenditoria, locali e nazionali, che hanno consentito all’organizzazione di reinvestire i propri elevati proventi e di proliferare. Si parla di capitali enormi: sarebbe stato utile avere da Schiavone un contributo ad accrescere le conoscenze relative ai meccanismi con cui si sono attività le complicità e in quali business sono andate ad agire, anche per evitare che si possa incorrere nuovamente nei rischi di queste connivenze.

L’organizzazione criminale che faceva capo a Schiavone è stata distrutta grazie all’impegno congiunto delle forze di polizia, della magistratura e della comunità, ma questo non significa che si sia debellata per sempre la criminalità e la possibilità che se ne possano riprodurre i modi di procedere e di relazionarsi con il resto del tessuto sociale. Bisogna conoscere per intercettare prima che si sviluppino nuovamente e per attivarsi nella maniera corretta su fenomeni di riciclaggio ad alti livelli che, ancora oggi, si stanno sviluppando non solo nel nostro territorio. Avrebbe potuto inoltre aggiungere tasselli alla ricerca del tesoro dell’organizzazione così ingente che ancora non è stato intaccato completamente dalle seppur numerose confische da parte dello Stato.

Ecco perché avrebbe aiutato avere informazioni in tal senso. Se avesse collaborato, avrebbe dato un contributo alla sua comunità che tanto ha danneggiato. Come ha scritto un mio concittadino sotto ad un post nel quale commentavo la notizia: “avrebbe fatto almeno una cosa buona nella vita.” Le motivazioni del pentimento evidentemente non erano queste per lui, probabilmente voleva evitare il 41 bis o salvare da alcuni rischi i suoi figli.

Il contributo dei collaboratori veri

Sinceramente non mi ero illuso, ma auspicavo lo facesse: è capitato che altri proseguissero nelle loro intenzioni, lo sta facendo anche il primogenito di Schiavone, Nicola, pure se non ha ancora fornito rivelazioni rilevanti.

La storia da Falcone in poi ci insegna come i pentiti, o per meglio dire i collaboratori di giustizia, possano essere utili al lavoro di indagine. Lo sono stati per quelle riguardanti Cosa Nostra, ma anche per scoprire attività e strategie dei falsi casalesi. Non sempre quanto hanno dichiarato è stato però vero o determinante, tutto è costantemente vagliato dal lavoro delle forze di polizia e dalla magistratura: non bisogna caricare di eccessiva importanza le decisioni di collaborare prese da questi personaggi.

Alcuni sono stati arrestati nuovamente dopo aver collaborato e beneficiato dei privilegi di pena previsti. Ritengo più utile come il magistrato si rapporti a chi decide di intraprendere questo percorso, ricavando quanto necessario dalle loro parole, comprendendone la rilevanza. Al Procuratore Gratteri sono bastati tre mesi per capire e arrivare alla giusta conclusione: “se non mi dici nulla di vero, di pesante, torni a scontare la pena che meriti.”

La reazione della comunità casalese

A fianco a tutto questo c’è la comunità che si esprime rispetto ai comportamenti di coloro che per anni hanno rappresentato il potere criminale.

È significativo a proposito il dialogo del figlio Emanuele Schiavone quando è andato a trovare il padre in carcere. Da quanto è stato riportato, pare lo abbia rimproverato per la sua decisione con una battuta diretta: “ti stai facendo ridere dietro da tutti: sei una vergogna.” È la dimostrazione di come il pentimento riveli i timori e le vigliaccherie di uomini che non sono forti come volevano far credere: è la caduta degli dèi. Tra la gente c’è chi era contento perché si aspettava rivelazioni utili dalla collaborazione dell’ex boss, ma rimanevano anche coloro che nutrivano un atteggiamento di reverenza mitica nei confronti di questi personaggi. Il rischio di emulazione soprattutto nelle nuove generazioni non è mai da sottovalutare, il pentimento reale o presunto, così come lo descrive anche il figlio di Schiavone, ha portato anche alla conseguenza del crollo del mito. Non si è pentito, ma resta la macchia: “eri pronto a parlare sei debole e inaffidabile!”.

È un colpo anche per coloro che pensano di riorganizzarsi da un punto di vista criminale: ora sanno che anche il grande capo alla fine può tradire. È un vulnus che allarga la già grande crepa che separa dal passato: la comunità ha cambiato il modo di comportarsi e rapportarsi, opposto al modello che le organizzazioni criminali avevano impostato negli anni.

 Il pentimento avrebbe aggiunto qualche informazione in più, ma la sconfitta dei clan c’è già stata ad opera delle procure, delle forze di polizia, degli amministratori onesti e delle tante persone che ora non vogliono certo tornare indietro. Me lo ha dimostrato quanto accaduto dopo il tentativo di riportare la paura e l’intimidazione in città la notte del 7 giugno. È bastato un passaparola telefonico di pochi minuti per far scendere in piazza, il 17 giugno, ben tremila persone armate di striscioni con scritto “non vi vogliamo, andatevene via da qui.” Questa reazione non era scontata qualche anno fa. Come ho detto dal palco della manifestazione, è stato il più bel regalo di fine mandato.

Indietro non si torna

Le persone a Casal di Principe hanno capito da che parte stare, perché non sperare che lo stiano comprendendo anche coloro che erano coinvolti nella zona grigia, ossia imprenditori o personaggi politici che hanno appoggiato le trame criminali dei clan. Io voglio provare a credere in un ravvedimento pure di questa parte della società, nell’ottica della convenienza: non serve a chi vuole fare impresa che si torni a sparare nel luogo in cui si vuole sviluppare la propria attività, è più utile tentare percorsi legittimi rispetto al rischio reale e provato di quelli condivisi con i criminali.

Il cambiamento culturale nel territorio è stato importante, è più probabile che si prosegua in questa direzione, ma certo non si deve abbassare l’attenzione. Alla fine dei miei dieci anni da sindaco mi porto dietro diverse immagini a confortare l’ottimismo del grande lavoro fatto insieme, una in particolare ricordo spesso. Nella piazza è stata allestita la casetta del libro: non solo nessuno ha pensato di rovinarla, ma in molti ne hanno usufruito. Penso al ragazzo straniero che di inverno si sedeva nella panchina accanto, accendeva la torcia del suo cellulare e leggeva i libri per imparare meglio l’italiano. Non può essere a rischio il mondo che questa immagine rappresenta realmente, può resistere anche ai tentativi di chi volesse invertire la rotta.

Nel dubbio non stiamo tranquilli, non ci stavo neanche quando ero sindaco. Sto creando un movimento politico “Progetto Casale Insieme”, aperto ai tanti giovani che si sono attivati per la tutela dei diritti e della vivibilità del nostro territorio, pronto ad essere di supporto, con spirito critico, alle politiche del governo che si è appena insediato in città. Siamo disposti a collaborare con la nuova amministrazione, ma come ho già precisato al sindaco neoeletto: “vi sto con il fiato sul collo, perché qui indietro non si può e non si deve tornare!”

* Ex sindaco di Casal di Principe (CE)

Fonte: Avviso Pubblico

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