Mafia, quel delitto contro il 41 bis
Non è una invenzione il tentativo della mafia di passare alle armi pur di ottenere un 41 bis, le norme per il carcere duro, meno restrittivo. Non ci sono stati solo i proclami, come quello fatto da Bagarella, il cognato di Riina, nel 2002 durante un processo a Trapani, o ancora gli striscioni come quello comparso un giorno al «Renzo Barbera», lo stadio del capoluogo siciliano. Ci sono anche i morti ammazzati, anzi c’è il morto ammazzato, l’agente penitenziario Giuseppe Montalto, ucciso per ordine della mafia l’antivigilia di Natale, un 23 dicembre di 15 anni addietro. In quei giorni i killer agli ordini del capo mafia di Trapani Vincenzo Virga dovevano commettere un altro omicidio, ma il pentito di Paceco Francesco Milazzo, che svelò i retroscena del delitto Montalto, ha detto che ad un certo punto «arrivò l’ordine di fermarsi, che bisognava fare altro, si doveva uccidere uno “sbirro” per fare un regalo di Natale a qualche amico che si trovava in carcere».
E Giuseppe Montalto fu ucciso mentre era in auto, vi era appena salito, con la moglie, Liliana Riccobene, e la figlioletta Federica di 10 mesi, che stava seduta dietro, era fermo nella piazzetta di Palma, frazione di Trapani, la canna di un fucile spuntò dal buio, il sicario lo colpì inesorabilmente, uccidendolo sul colpo. Giuseppe Montalto lavorava all’Ucciardone, il carcere di Palermo, si occupava dei mafiosi al 41 bis, intercettò lo scambio di un «pizzino» e venne segnato, ucciso al momento opportuno. Eppure oggi proprio mentre si parla di 41 bis e trattative la sua morte è come dimenticata. Il super boss (latitante) Matteo Messina Denaro, il capo mafia di Trapani, Vincenzo Virga, il killer valdericino Vito Mazzara, e il palermitano Nicolò Di Trapani, boss di Resuttana, sono stati condannati all’ergastolo per questo delitto. Ma la scena comprende altri soggetti.
Finiti assolti, come l’ex consigliere comunale di Trapani, Franco Orlando, «uomo d’onore riservato», o che hanno mosso piccoli passi, per far muovere i killer contro Montalto. Nella scena c’entra anche l’alcamese, oggi ergastolano Nino Melodia, si era rivolto a Matteo Messina Denaro, l’ancora super latitante della mafia siciliana, dopo avere saputo del delitto da fare, per chiedere che voleva essere utilizzato. E quando lesse sui giornali dell’omicidio i pentiti raccontano che si stupì che a lui non era stato detto più nulla.
C’è in questo omicidio l’efferatezza propria del latitante Matteo Messina Denaro o la freddezza del sicario, Vito Mazzara, ci sono insomma le caratteristiche più spietate grazie alle quali Cosa Nostra ha soggiogato il territorio, che per non farsi piegare non ha posto poi nella storia molte resistenze, chi provava a farlo rischiava di fare la fine di Montalto.
Montalto fu eliminato per avere «intercettato» un giorno un «pizzino» in carcere, due boss, il plaermitano Raffaele Ganci, e il catanese Nitto Santapaola, che volevano colloquiare nonostante il 41 bis, e con l’invio di un «pizzino» fu notificata la sentenza di morte di quelle irrevocabili.
C’era un «canale» per fare uscire fuori i messaggi dall’Ucciardone, il pentito ed ex boss Giovanni Brusca ha detto che questo canale passava attraverso Nicola Di Trapani e Pino Guastella, che avevano un contatto con i fratelli palermitani Madonia, detenuti nella sezione del 41 bis, tramite una guardia carceraria, una di di quelle corrotte, e che non prestava servizio come Montalto. E di quel «canale» si sarebbe servito Antonino Madonia per dare l’ordine di uccidere l’agente di polizia penitenziaria Giuseppe Montalto. Nicola Di Trapani portò un «bigliettino», con su scritto il numero di targa dell’auto dell’agente, poi ci fu una riunione a Salemi, a cui presero parte il mazarese Sinacori, Brusca e Messina Denaro: «Ninuccio manda a dire che vuole fatta una cortesia, che vuole eliminata una guardia carceraria» disse loro Di Trapani. Morì così Giuseppe Montalto.
«Eroe silenzioso di questa terra» disse nella sua requisitoria in primo grado il pm Ignazio De Francisci. Quel delitto era l’ultimo degli attacchi sferrati dalla mafia allo Stato, dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio del 1992, dopo le bombe del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Un omicidio da inserire nel contesto della strategia stragista di Cosa Nostra.
«Eppure – si legge nella sentenza che ha ripreso molti passaggi della requisitoria dei pm De Francisci e Andrea Tarondo – siamo in presenza di uno Stato che è pronto a piangere i suoi servitori uccisi dalla mafia, ma che spesso non fa nulla per evitare che la comunità finisca con il dimenticare. La metà degli anni ’90 – ricorda il pm Tarondo – erano anni di una guerra che Cosa Nostra condusse anche nel trapanese, approfittando anche di uno Stato che si comportava in modo anomalo. Oggi la mafia è più pericolosa perchè cela la sua presenza, non uccide perchè segue in modo diverso i suoi affari». Ma questo non significa che gli omicidi non fanno più parte dei suoi piani, la mafia spara quando è il momento di sparare.
Così come accadde in quel 23 dicembre 1995, Montalto fu il «regalo» di Natale ai mafiosi al 41 bis. La sera della vigilia di Natale del 1995 i boss si incontrarono per la cena degli auguri. Il banchetto fu organizzato a Valderice, appena sotto la bella Erice, a pochi chilometri da Trapani, a casa di uno dei fidati dell’allora latitante Vincenzo Virga e dalle cucine di un albergo ristorante valdericino uscirono le importanti portate: pasta con l’aragosta, pesci al cartoccio, cacciagione, ma soprattutto le bottiglie di champagne. «Brindammo – ha raccontato il pentito Vincenzo Sinacori – con lo champagne», 24 ore dopo che era stato assassinato Giuseppe Montalto.
Anni dopo, nel 1999, un’intercettazione della squadra Mobile colse il colloquio tra due cugini di Virga, Franco e Baldassare: «A pecora mia “dammaggio” non ne fa, ma sempre pecora è», così Vincenzo Virga avrebbe spiegato a loro perchè Montalto era stato ucciso. Montalto aveva fatto e poteva fare ancora danno a Cosa Nostra e per questo era stato trattato come una pecora, dagli stessi mafiosi che oggi, a trapani, ma non solo a Trapani, gestiscono imprese e fiumi di denaro pubblico.
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