Ricordiamo Santo Della Volpe nel trentennale Alpi/Hrovatin
Oggi, 9 luglio, ricorrono nove anni dalla scomparsa di Santo Della Volpe, già direttore e presidente di Libera Informazione, nonchè storico inviato del Tg3 e presidente Fnsi in carica all’epoca.
Abbiamo pensato di ricordarne l’impegno professionale e la passione civile ripubblicando un suo importante approfondimento del caso Alpi-Hrovatin proprio perchè siamo nel trentennale dell’omicidio/esecuzione che abbiamo appena finito di celebrare con la comunità di #NoiNonArchiviamo.
L’articolo fu scritto a commento della desecratazione di tutta una serie di atti ufficiali che si pensava avrebbero condotto finalmente alla riapertura delle indagini. Della Volpe espone alcuni fondamentali interrogativi sulla vicenda drammatica che, purtroppo, sono oggi più che mai attuali e non hanno ancora trovato risposta.
Il nome di Santo Della Volpe – al pari di quello di Roberto Morrione da cui prese il testimone nella guida di questo progetto editoriale costruito dai due insieme a Libera – è legato indissolubilmente alla vicenda dei giornalisti italiani uccisi barbaramente in Somalia, non solo in ragione del loro comune impegno in Rai, ma soprattutto per quanto Della Volpe – e Morrione – fecero con Libera Informazione e Articolo 21 per continuare ad illuminare il caso, anche quando tutti spensero i riflettori.
Rilette oggi le parole di Santo risuonano come un monito imperituro a non fare nessuno sconto alle istituzioni, ma anzi servono come sprone per continuare ad incalzarle nella ricerca di verità e giustizia.
In questa che è una battaglia di civiltà, la strada è stata tracciata dall’impegno di chi oggi non c’è più. Spetta a ciascuno di noi fare in modo che gli sforzi della famiglia Alpi, dei colleghi di Ilaria e Miran e di tutta la comunità #NoiNonArchiviamo non vada disperso. Ecco perchè rileggere oggi questo scritto è fondamentale. Ecco perchè ricordare la costante attenzione di Santo Della Volpe è il modo migliore per rendergli omaggio.
Grazie Santo, ciao Direttore!
Lorenzo Frigerio
Caso Alpi, i misteri dei documenti desecretati
Più di una notizia è una conferma: il Sisde, il Servizio segreto interno italiano, già due mesi dopo l’assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Horvatin, aveva individuato nel traffico d’armi, scoperto dai nostri giornalisti del Tg3, la causa della loro esecuzione.
Nel porto di Bosaso avevano visto quelle navi e pescherecci della flotta donata dalla Cooperazione Italiana che trasportava pesce ed armi. Forse avevano visto anche un vero e proprio carico di armi arrivate dall’allora Unione Sovietica. Emerge dai primi documenti desecretati dalla Camera dei Deputati e depositati dall’epoca della commissione d’inchiesta sul caso Alpi. Documenti quindi all’epoca già noti, ma non a tutti.
A mettere l’ipotesi del traffico d’armi nero su bianco è il Sisde, il servizio segreto interno che in un’informativa riservata del maggio 1994 suggerisce anche i nomi di quattro possibili mandanti. Tutti somali. Non solo. Le fonti del Sisde puntano subito il dito contro la cooperativa italo-somala Somalfish, sui cui pescherecci sarebbero transitate le armi.
In quell’informativa – trasmessa pochi mesi dopo l’agguato, tra gli altri, al ministero dell’Interno e alla Procura di Roma, il Sisde indicava, sulla base di non meglio precisate “fonti fiduciarie”, quattro somali come “probabili mandanti” dell’omicidio: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d’armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar.
Fatale, per Ilaria e Miran, fu dunque il viaggio a Bosaso, il porto somalo dei traffici: Dove i nostri colleghi andarono già il giorno successivo al loro arrivo in Somalia: quindi a colpo sicuro. Perché sapevano che questo era il loro “servizio”. In quel porto di Bossaso, secondo il Sisde, sarebbero saliti a bordo della motonave “21 ottobre”, vascello della Somalfish, e avrebbero documentato una partita d’armi marchiata CCCP. Ma non è tutto. Tra gli incartamenti desecretati c’è anche la nota del Sisde, sempre del 1994 e la cui esistenza è già emersa nel corso dei processi, in cui si indicavano come “mandanti o mediatori tra mandanti ed esecutori del duplice omicidio”, il faccendiere Giancarlo Marocchino ed Ennio Sommavilla, italiano ben introdotto in Somalia.
Sin qui il primo rapporto dell’epoca: ma qui si aprono i problemi che si moltiplicano ora sull’intera vicenda. L’informativa Sisde all’epoca viene girata al Sismi, il servizio segreto esterno e solo al Sismi. Come si evince da un memorandum compilato dal Sisde nel 2002 per il Copaco, il Sismi di fatto stoppa i ‘cugini’ smentendo la veridicità delle affermazioni. E qui l’indagine avviata sull’ipotesi del traffico di armi, si interrompe.
Perché? Chi diede l’ordine di chiudere quella pista che, nell’immediatezza dell’agguato poteva far scoprire esecutori e mandanti? Chi firmò l’ordine dello stop? E perché l’informativa del Sisde non fu mandato immediatamente anche alla magistratura e alla Digos di Roma e Udine (di competenza per Miran Hrovatin)?
Inoltre si apre da qui una seconda domanda senza risposta. Se i due nostri colleghi avessero visto casse di armi con la sigla CCCP, avrebbero sicuramente voluto filmarla? C’erano riusciti? Era stato impedito da qualcuno? Non si sa: di certo tra le videocassette registrate e tornate in Italia subito dopo l’agguato mortale, non ci sono immagini di casse di armi o sigle su casse di legno. Non sono riusciti a fare quelle immagini o la videocassetta è sparita, insieme ad altro materiale scomparso dai bagagli di Ilaria e Miran?
E se Ilaria e Miran non hanno girato quelle immagini, sicuramente qualche appunto sui taccuini di Ilaria dovrebbe esserci. La notizia era pericolosa, ma grossa. Sarebbe stata la conferma deli loro sospetti, la notizia regina della loro inchiesta. Ma sui taccuini giunti a noi non ci sono appunti su queste casse: quegli appunti potevano essere scritti sui taccuini pieni di appunti spariti dai bagagli arrivati in Italia?
Sono questi i misteri ancora da scoprire tra i documenti desecretati. A cominciare da quello del Sisde del 1994 che resta “stoppato” e top Secret. Fino al novembre del 1997 quando, attraverso il Cesis, la nota viene finalmente inoltrata alla procura di Torre Annunziata, nell’ambito del processo penale “Cheque to Cheque”.
Poco prima, a fine ’96, era spuntata un’ altra informativa, stavolta del Sismi, nella quale si sottolineava che, secondo ambienti dell’Olp, il mandante dell’omicidio di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin sarebbe stato il generale Aidid, signore della guerra somalo, utilizzatore finale del traffico d’armi. Marocchino sarebbe stato implicato nel traffico, usando per lo scopo alcune navi della cooperazione Italia-Somalia.
Argomenti che rimbalzano nel memorandum del 2002 compilato dal Sisde che è una specie di riassunto del caso Alpi-Hrovatin. Innanzitutto ci si sofferma sul ruolo di Said Omar Mugne, l’amministratore della Somalfish. Già uomo potente ai tempi di Barre. Grazie a l’ex dittatore somalo studia in Italia, dove prende casa, a Bologna. Di fatto è descritto come l’uomo che gestisce il traffico d’armi verso la Somalia attraverso i pescherecci della società. I servizi lo segnalano come parte attiva in un traffico di artiglieria leggera e kalashnikov verso il suo paese natale nel dicembre del 1994. Abbandonata la Somalia, Mugne si è poi trasferito in Yemen, dove avrebbe continuato (stando alle carte) ad esercitare la professione di trafficante, qui legato a doppio filo con gli afgani e, si scrive, con gli uomini di Osama bin Laden. Ascoltato dai magistrati che hanno indagato sul caso, ha sempre negato ogni coinvolgimento.
Nel rapporto del 2002 torna poi la figura di Marocchino, in rapporti, per via della moglie somala, con il presidente ad interim Ali Mahdi. Marocchino è il primo ad arrivare sul luogo primo ad dell’omicidio di Ilaria e Miran. Quel che i capisce dalla descrizione del rapporto Sisde, è la figura di un avventuriero che fa affari in molti campi, in buoni rapporti con le diverse fazioni in guerra in Somalia e punto di riferimento per i contingenti militari dell’operazione Restore Hope dell’Onu.
Tanto che nel 1993, si scrive nel memorandum s,ulla base di informazioni del Sismi, “in un contesto di collaborazione internazionale, all’interno del compound di proprietà di Marocchino a Mogadiscio, sarebbe stato individuato un container carico di armi e munizioni”.
Vicenda controversa quella di Marocchino: il servizio di intelligence esterno smentisce un suo ruolo diretto nell’affaire Alpi-Hrovatin, ma non ne esclude uno “indiretto”. Ovvero, scrive, “la complicità da parte del capo della sicurezza di Marocchino agli esecutori del duplice omicidio, all’insaputa dello stesso Marocchino”. Informativa che viene trasmessa agli organi inquirenti il 29 dicembre del 1994. Marocchino ha sempre negato ogni addebito e i processi che si sono svolti non lo hanno toccato ed anzi è stato parte offesa per calunnia.
Ora bisogna leggere tuti i documenti ai quali è stato tolto il segreto: soprattutto per capire chi ha emesso quegli ordini di abbandono della pista del 1994 e quali altri ordini hanno fatto imboccare piste diverse ed intorbidito le acque di una inchiesta che dopo 20 anni ancora non ha detto una parola definitiva di Verità e Giustizia per Ilaria e Miran.
Ma una cosa già è certo. Come ha detto subito l’avvocato della famiglia Alpi, Domenico D’Amati: “L’impressione è che nella fase iniziale delle indagini si sarebbe potuto fare molto di più – ha commentato l’avvocato D’Amati – c’erano delle piste da seguire: il traffico di armi, ma anche di rifiuti tossici. Non so perché non si sono seguite. È tutto ancora da scoprire”. “Di quei documenti ora disponibili ho letto una parte finora – precisa – Ma ho fiducia che i nuovi magistrati della procura che se ne occupano, diano il massimo impulso alle indagini”.
https://www.liberainformazione.org/2024/07/09/santo-della-volpe-il-ricordo-a-nove-anni-dalla-scomparsa/
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