Morire di lavoro
«Ogni 15 secondi nel mondo un lavoratore muore per incidente o malattia professionale, ogni giorno circa un milione di lavoratori subiscono un infortunio e si possono verificare oltre 6500 incidenti mortali». Queste le stime dell’ ILO, l’ Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite. Quanto contribuisce il nostro paese a ingrossare le fila degli infortuni e delle morti sul lavoro? A parlare sono i numeri, e molte storie. Come quella della ThyssenKrupp, la fabbrica torinese in cui nella notte tra il 5 e il 6 dicembre di tre anni fa morirono sette operai. Un incendio scoppiato nel reparto della linea 5 dell’acciaieria avvolse tra le sue fiamme Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Bruno Santino Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi. E proprio di questi giorni è la notizia della richiesta di condanna,
avanzata dal Pm Guaraniello, a sedici anni e sei mesi di detenzione per
Harald Espenhahn, amministratore delegato dellaThyssen. Richiesta avanzata anche per altri 5 dirigenti, con pene dai 9
ai 13 anni e mezzo. Le accuse per Espenhahn sarebbero di omicidio
volontario e dolo eventuale mentre per gli altri imputati si parla di
omicidio colposo e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.
«Increduli i magistrati vedendo che i dirigenti sapevano tutto, conoscevano i pericoli che si correvano in quell’azienda, avevano visto che l’assicurazione aveva alzato la franchigia al limite dell’assicurabile, avevano un piano per mettere in sicurezza le linee di produzione, soprattutto la linea 5, ma rimandavano, rimandavano sempre – così Santo Della Volpe, vicedirettore di Libera Informazione e giornalista di Rai3, descrive quello scenario sconcertante. Nonostante sapessero non fecero niente, perché, esplicitamente affermarono: avevano deciso di chiudere lo stabilimento torinese e quindi non investivano nella sicurezza, soprattutto antincendio […] ». «Non è stata una grande consolazione per i parenti delle vittime, che non hanno più pace da quella tremenda notte di 3 anni fa. Assistevano al processo con rabbia e malinconia, supportati anche dai familiari delle vittime dell’Eternit e della strage di Viareggio, presenti in aula. Avrebbero voluto l’ergastolo, per chi ha stroncato le vite dei loro cari, mettendo davanti la sicurezza degli operai gli interessi economici, ma già questa richiesta di condanna risulta un passo importante. Mai prima d’ora, in un caso di incidenti sul lavoro, si era arrivati a simili imputazioni. Storie come quelle della Thyssen, in Italia ce ne sono state fin troppe e i dati sulle morti bianche non sono rassicuranti.
Nel decennio 1996-2005, il nostro è risultato il paese con il più alto numero di decessi in Europa. Secondo i dati INAIL, nel 2009 gli infortuni sul lavoro sono diminuiti. Lo scorso anno ci sono stati 1050 morti, con un calo del 6% circa rispetto al 2008. Ma questo calo, più che ad una migliore attenzione alla sicurezza, è maggiormente imputabile alla crisi economica e ad un minor numero di occupati «Se si somma poi la disoccupazione con un accesso al mondo del lavoro dei giovani drasticamente diminuito, la Cassa Integrazione normale con quella Straordinaria e con quella in deroga, le donne che rinunciano a cercare lavoro e restano in casa, il monte ore di lavoro diminuisce di oltre 400mila ore in meno in un anno – afferma Della Volpe – il che vuol dire che nel confronto con il 2008, i 1050 morti del 2009 sono troppi rispetto alle aspettative». Per il 2010, nonostante non si abbiano ancora stime ufficiali, secondo il responsabile del Canale Lavoro per Articolo 21 Diego Alhaique, a fine anno risulteranno circa 800.000 infortuni sul lavoro, di cui 50.000 con invalidità permanente, e 1.000 casi mortali. I dati INAIL sarebbero comunque sottostimati poiché sono impossibilitati a censire tutti i caduti sul lavoro. Ad esempio gli immigrati molte volte non vengono denunciati come morti sul lavoro ma come deceduti in incidenti stradali; se un agricoltore muore nel capovolgimento del proprio trattore mentre torna a casa, spesso non entra nelle statistiche dei morti sul lavoro, ma in quelle degli incidenti mortali sulle strade.
«Abbiamo cominciato una battaglia, anche di linguaggio, per evitare che nei mezzi di informazione si usi ancora il termine “morti bianche” – ha concluso Santo Della Volpe – il bianco evoca una innocenza che non esiste nel caso delle morti sul lavoro, nelle quali c’è sempre, dico sempre, una responsabilità precisa, di chi non offre le garanzie adeguate di prevenzione o di chi sbaglia, più banalmente, una mossa, un movimento o un appiglio. Comunque la legge impone misure di prevenzione che prevedano l’eventualità di uno sbaglio; la morte sul lavoro non può quindi essere bianca, linda. Si muore seppelliti dalla terra o dal fango, orrendamente bruciati da acciaio liquido o gas incandescente, schiacciati sotto pesanti macchinari oppure asfissiati da gas velenosi. Altro che morti bianche, queste sono solo morti sporche».
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