Provocazione-Segre e la sindrome delle cavallette di governo sui diritti
Dopo l’inchiesta di Fanpage su alcuni giovani militanti di Fratelli d’Italia, che ha rivelato un mondo estraneo alla democrazia, Liliana Segre ha manifestato sdegno e preoccupazione con parole che hanno suscitato clamore: “Dovrò essere cacciata dal mio Paese, da dove sono stata già cacciata una volta?”
È evidente che si tratta di una esasperata provocazione. Che però proviene da una donna coraggiosa, che ha vissuto dure esperienze diventando una memoria critica per tutti coloro che vogliono vivere liberi e uguali in una comunità civile.
A 13 anni Liliana Segre è stata deportata nel campo di sterminio nazista di Auschwitz, dove fu selezionata per il lavoro schiavo, con tatuato sul braccio il numero di matricola 75190. Mentre migliaia di altri ebrei (tra cui alcuni suoi parenti) venivano sterminati nelle camere a gas, Liliana Segre riusciva a sopravvivere nonostante i maltrattamenti le sofferenze le privazioni le umiliazioni e il dolore patiti in quella tragica negazione della umanità. Oggi ha quasi 94 anni.
Ma la “deportazione” evocata da Liliana Segre – lo sappiamo – è il culmine finale di un percorso lungo e perverso di un passato lontano.
Quel che interessa è una riflessione sull’oggi. Ma è difficile se non impossibile dire se la tentazione di avviare un percorso per qualche verso simile possa riaffacciarsi.
Perché anche un semplice accenno alla ipotesi che stia riaffiorando il pericolo di una qualche riedizione del regime fascista (non necessariamente con orbace e mascella indurita: anche solo come mentalità e tendenza all’autoritarismo arrogante e prepotente) significa oggi rischiare concretamente l’accusa di “nemico della patria”, perciò da isolare perché non faccia troppi danni. Eppure non si può non osservare che le nostre forze politiche di maggioranza sembrano impegnate in uno stillicidio continuo, una specie di work in progress con l’obiettivo di arrivare a un risultato che ricorda il racconto della Bibbia sulle cavallette d’Egitto che coprirono tutto il paese oscurandolo.
A partire dai bavagli di vario tipo e dimensioni, imposti o in arrivo, per l’informazione e la magistratura, le quali presidiano una sfera non decidibile dal potere politico, quella della dignità dei diritti di tutti, sottratta al potere della maggioranza e affidata a custodi (appunto una stampa libera e una magistratura indipendente) estranei al processo elettorale, ma non alla democrazia. Senza dei quali, come già insegnava due secoli fa Alexis de Toqueville, può sempre essere in agguato la tirannide della maggioranza, con ogni sua possibile degenerazione.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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