Marcella Di Levrano e il giorno della sua nuova nascita
Nell’esistenza di ogni essere umano restano impresse come indelebili alcune date fondamentali che, per noi e per quelli che incrociamo lungo il percorso della vita, restano quelle caratterizzanti perché uniche.
Innanzitutto c’è la nostra data di nascita e specularmente quella della morte, ma anche altri passaggi significativi o momenti felici segnano a tal punto i nostri giorni terreni che meritano di essere ricordati e celebrati, a volte anche quando noi non ci siamo più.
Per questo vogliamo ricordare oggi Marcella Di Levrano che riscattò una giovane vita (1964-1990), fatta di sofferenze e di dolori, con un gesto unico e dirompente.
Come era successo a tanti altri suoi coetanei nei decenni settanta e ottanta del secolo scorso, questa bellissima ragazza era finita prigioniera di una “bestia” davvero feroce: la droga, che allora non solo mieteva vittime ma anche inaugurava la nuova scalata ai vertici mondiali del crimine da parte della mafia italiana, nelle sue diverse denominazioni.
In ragione della ricerca spasmodica delle sostanze stupefacenti, che alleviavano tensioni e paure, Marcella era finita con il frequentare regolarmente quella che le era sembrata inizialmente una compagnia di balordi, che in realtà tanto balordi non erano, visto che si trattava piuttosto della cupola della sacra corona unita attiva nel territorio di Brindisi e di Lecce, con ampie propaggini in regione e fuori regione.
Quello che la giovane donna vide e visse in quei terribili anni lo possiamo soltanto immaginare. Desiderosa soltanto di ricevere amore, comprensione e attenzione, finì piuttosto con il perdere sé stessa nel gorgo della dipendenza, rendendo vani i tentativi della madre e delle sorelle che cercavano disperatamente di tenere unita la famiglia, nonostante la tragedia quotidiana. Soltanto la nascita di una bambina rappresentò per Marcella un momento di pace e serenità.
In quel frangente così tribolato, ecco la data che segna un punto di non ritorno tra il prima e il dopo nella sua esistenza.
È il 24 giugno 1987, quando Marcella si convince a rompere le catene di quel sistema criminale nel quale si era trovata, suo malgrado e in ragione della tossicodipendenza, completamente avviluppata.
Senza far trapelare nulla a chi le sta più vicino, comprensibilmente in ragione delle paure e dei dubbi che la scuotono, esce allo scoperto – “ci mette la faccia” per usare un’espressione ricorrente del presidente di Libera don Luigi Ciotti – e si presenta alla Questura di Lecce, per denunciare ai funzionari di polizia tutto quello che conosce sulla sacra corona unita, i cui capi ha frequentato e frequenta ancora.
Ricordiamo che al tempo non era ancora stata introdotta nel nostro ordinamento la legge sui testimoni di giustizia e nessuna tutela era prevista per quanti raccontassero agli inquirenti le notizie in loro possesso riguardanti fatti criminali.
Un dettaglio non da poco, ben evidenziato nel decreto di archiviazione del procedimento per l’omicidio della donna da parte di Alberto Santacatterina, magistrato allora in forza alla DDA di Lecce, che parla di informazioni tanto più preziose, perché “totalmente disinteressate” e “avvenute in un periodo nel quale nessun beneficio era previsto o anche lontanamente ipotizzabile”.
Il racconto documentato di Marcella alla polizia è quindi entrato nel primo maxi processo contro la sacra corona unita, rivelando tutta la sua importanza probatoria a supporto delle indagini delle forze dell’ordine e della costruzione dell’impianto accusatorio che ha poi inferto un importante colpo alla criminalità mafiosa di quel territorio.
E quella data, che pur ha sancito la condanna a morte della donna, rea di aver “infamato” i mafiosi, facendone scattare la brutale reazione, ne ha segnato in realtà una nuova nascita alla vita, alla libertà, alla speranza per sé e per la figlia.
Con questo spirito, il nome di Marcella Di Levrano è stato celebrato in occasione del 24 giugno.
Lo scorso anno è stata ricordata proprio all’interno della Questura di Lecce, dove si era recata per la prima volta nel 1987, alla presenza di magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, membri dell’associazione Libera. E il clima era veramente quello di una festa, della celebrazione della vita.
Anziché commemorare il giorno della sua morte, si è scelto così di ricordare il giorno della sua testimonianza, del passaggio dalla schiavitù della droga alla libertà dei giusti, dei quali lei fa parte da lungo tempo, ben prima del 2022, anno in cui il Ministero dell’Interno ne approvò il riconoscimento formale come vittima di mafia.
Un lungo percorso quello dell’accertamento della verità sull’omicidio della donna che, per lunghi anni la madre, Marisa Fiorani, ha portato avanti in solitudine, fino all’incontro con Libera e con tante e tanti che ne hanno poi sposato la causa.
E anche quest’anno, il 24 giugno prossimo, Marcella Di Levrano sarà ricordata perché, come ha sottolineato un magistrato che ha accompagnato la madre in questi anni, il suo “gesto di coraggio possa essere di ispirazione per tutti coloro che sanno ma scelgono ancora di rimanere in silenzio”.
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https://www.liberainformazione.org/2020/04/03/marcella-vittima-di-mafia-in-attesa-di-giustizia-da-30-anni/
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